tre settimane prima dell’equinozio

Iniziamo a tracciare il nostro percorso, lo cambiamo di continuo. Desideriamo muoverci senza pensieri ma i doveri e l’economia ci attanagliano come da sempre, non siamo uomini liberi. Vicino lo stomaco ecco la stessa sensazione di sempre. Il truce algoritmo che misura con tocco mixologico le paranoie, le ansie, la tranquillità e i sogni al fronte di un cervello semplice che tende a posporre le attenzioni di tanta complessità. Viene semplice il sostegno della pace al pensiero di svegliarmi in riva al mare, dove quand’ero fresco era una fondamentale pratica che toccava i quattro mesi in un anno solare. In questi momenti quello che cerco è il suono giusto in un luogo idealmente isolato o con una o poche altre persone scelte.

Le cose che più mi mancano del mare sono lo spazio che regala agli occhi della mente, l’ampiezza di respiro, il profumo di vita costantemente presente, il suo rispondere alla luce in un forma che adisce alla mia idea di perfezione, il suo custodire vite poste in discrezione, il prendersi cura della mia pelle, il suo tono scuro intenso la notte che pone tela alle stelle come non mi è più capitato di vederle.

“Appena trovo quel suono o quell’insieme di note è sempre tutto di nuovo chiaro, come lo è stato sempre. Ma ora le altre opzioni si sono semplicemente dissipate. Questo è il momento nel quale mi è vitale assecondare i desideri del mio corpo, o solo essere così fortunato da riuscire finalmente ad ascoltarlo. Si muove e seduce i miei sorrisi, altrimenti sempre molto timidi. Forse annusare la salsedine dal mio braccio riuscirà a ricordarmi come da bambino era proprio il corpo a gestire la mia vita. Le gabbie dello zoo in cui viviamo sono il mio peggior nemico, considerato quanto ho in corpo. Sarà questo che mi ha fatto empatizzare sin da piccolo con gli occhi degli animali che vedevo nelle gabbie. Non potrò mai rinunciare ad essere bambino, smettere di esserlo mi costerebbe la vita.”

Lunghissima è la strada che vorrei con te perseguire. Come tutto, vorrei vivere quell’esperienza in un sorso. Essere capace a digerirla come fosse bere acqua dopo aver sudato. Poter scorgere se esiste un dopo a un’esperienza che mi consiglia nel suo presente precise immagini del suo futuro. Mi permetto di non alimentare aspettative comunque concedendomi i sogni più dolci, che sono ispirazione per la mia gentilezza come per il mio condividere dove penso che sia collocato lo stare bene astratto, quanto utopisticamente conseguiamo nel nostro sociale esistere. L’intuito cerca un timido segnale che sappia consigliare dov’è che potresti sorridere. I tramonti d’estate li ho passati a immaginare roccaforti dove custodire un’espressione d’amore pura, non collocabile in quanto vedo nelle strutture della nostra società. Capisco il tuo dolce modo di difendere e tardare quel naturale erodere delle relazioni. Ponendo a prezzo il  corpo a favore di un sentimento. Chissà in che maniera specifica questi sentimenti si relazionano con il nostro corpo.

Si alza la brezza di sera, le onde tracciano un ritmo diverso. In questo luogo da bambino ho iniziato ad ascoltare il rumore. Con i miei folti capelli bruni lucenti che proteggevano dalla luce i miei sensibili occhi color mar Tirreno. Mi arrampicavo sugli scogli per guardare Stromboli eruttare e ascoltavo il vento muovendo la testa ai piedi del’acqua. Se alle spalle c’era una giornata di incendi la mia immaginazione diventava così più arzilla, stuzzicata da una visione di organizzata distopia. Proprio in quel luogo ho sviluppato il mio rapporto con la solitudine e l’ascolto della musica. Gli orari in cui tutti erano in casa erano i più interessanti. Ero molto bravo a creare giustificati ritardi per poter godere del luogo solo per me stesso, anche se purtroppo o fortunatamente ogni tanto qualcuno incontravo. Desideravo comunicare con le persone più grandi perchè i miei coetani mi annoiavano e nella mia testa frizzavano continuamente idee che non riuscivo a condividere con loro. Le persone di qualche anno in più cercavano emotivamente sempre di sopraffarti, triggerarti e imbarazzarti. Lì si definì la tempra della mia timidezza. Lì dovetti iniziare a disegnare e scaricare tutte quelle tensioni. Spesso, un’ora prima del quotidiano muoversi del vulcano, giocavamo a calcio sulla sabbia. Questa ci permetteva di mimare quelle acrobazie che ci sembravano impossibili. Il sudore teneva stretta la sabbia sulla pelle e la nostra energia cercava i suoi limiti. La miglior ricompensa era il bagno al tramonto, quando la spiaggia finalmente era ancora più vuota, e l’acqua rifletteva quelle incredibili strisce arancioni e azzure, unite da sfumature di rosa terso. Le ragazze ci guardavano sporadicamente perchè si annoiavano. E quel bagno successivo sapeva di rito tribale. Euforici ridevamo tanto da spesso inghiottire l’acqua del mare. Quando tutti abbandonavano la spiaggia era il momento più prezioso, rimanendo l’unico umano a vista d’occhio ancora in acqua. L’arancione è il primo colore a sparire, subentra in maniera graduale il viola scuro. l’azzuro cautamente si traduce in blu scuro. Quella è l’immagine che non sono ancora mai riuscito a riprodurre. In più momenti mia madre si affaccia dalla cucina al muretto, per assicurarsi che io sia ancora lì, deve averglielo detto mio fratello. Niente mi sembra più prezioso in questo momento di quel silenzio, della grandezza di quello spazio invalicabile ai miei arti.

I più bei momenti della mia vita potessi farne un film sarebbero proprio questi. Non certo per raccontarne gli eventi, ma per saper con quel luogo evocare così profondi sentimenti. Quella spiaggia, le viette tra le case e le stanze dell’adiacente villaggio turistico, la piazzetta, il bar, la discoteca, i campi da tennis sono i luoghi dove ho iniziato a innamorarmi delle donne. I momenti sociali finalmente ci consentivano di non star più separati, dove alcuni momenti di gioco dividevano i generi, nell’ordine binario di una società in decadenza. La notte in spiaggia era l’occasione più sincera. Soprattutto le notti di luna nuova dove il buio è talmente fitto che siamo costretti a guardarci dritti negli occhi. Così ho iniziato a sentire vibrarmi in petto, imparando che alcuni occhi potessero scuotermi il costato, trovandomi successivamente innamorato.

Non potei mai tentare di filmare qualcosa del genere, che solo mi sembra sia importante piuttosto viverlo. Saluto timidamente quel mare, che non ho toccato. La mia visita è stata volutamente ristretta. Mi è bastato guardare quella casa dove so ammettere che mi è stato possibile sentirmi bello, per decidere di non immergermi nello speculare mare di ricordi. Il cielo finalmente di quel nero, le stelle bianche come la polvere sul tessuto nero. Mi ricordo chi sono, o quantomeno adesso ne prendo un ulteriore appunto. Sorrido e finalmente quando sarò a casa avrò finalmente un accumulato che mi permetterà di piangere e svuotare quelle sacche arse che con tanto impegno si riempiono. Non mi interessa fare solo sesso. Non mi interessa stare inseme a qualcun. Voglio vedermi qui come sono ora libero. Fare l’amore e dirti che t’amo.