goffredo mi sta dicendo che non devo fare niente per forza, non sono obbligato. il mio problema è che vorrei fare e non ne trovo le forze e le idee. mi limito ad accarezzare per sbaglio, a sorridere come un ebete ed a desiderare quello a cui avevo pensato, che si rivela impossibile da realizzare, in assenza di un abbraccio o d’una domanda. rimane la cicatrice del mio sguardo ed un congelamento durato praticamente cinque mesi, percepiti come un intero anno. odiando quei fasci di luce che ti si poggiano addosso desidero la più profonda oscurità, nel completo delle mie percezioni energetiche, nel collasso di alcuni sguardi e sorrisi beffardi. c’è sempre da tener conto del mio denigrante correr veloce e lontano tra paure e preoccupazioni, teutonicamente, allontanandomi talvolta, talvolta, da quella che potrebbe essere la cosa migliore da fare, da me sempre non colta, compresa dopo. è il principio del post turbinio di desideri ed incomprensioni, è patologico.

vorrei qualcosa di più. ieri bastava un abbraccio. ora non so cosa fare.

immagini di colori sovrapposte, proiettate l’una sopra l’altra, da diverse angolazioni. i volti geometricizzati fungono da specchio dei già riflessi di quanto è virtualmente scritto sui muri. amarezza nei dettagli, sorpresa nell’irriconoscibilità dell’attimo. il turbinio di gas non rari nel tubo chiuso, il loro spingere e far rumore; la quindi loro esigenza di uscire. la mia impossibilità di apparir concentrato e coerente.