il venire ignorato, l’aqua e il volo sul monte.

non più un film ho guardato senza che mi venissi costantemente in mente, al desiderio di condividere il contatto fisico durante le sensazioni d’immagini e suoni quando queste sono sposate ad arte. mi distraggo e non porto a casa tanto di quanto è offerto. come avessi deciso che mi manchi qualcosa di esistenzialmente presente nel mio oggi, correlabile allo sviluppo del mio domani, del tuo essere io oggi, del tuo essere io domani. come questi due sviluppi posso immaginarli vicini? sembrano accompagnarsi bene nei miei di sogni, che non sono per niente rari, ma astratti, nebbia sui monti, assorbono tutto e aperti gli occhi sono già storie dimenticate. ma i loro messaggi sono chiari, non sono l’unico a crederlo. ci ascoltiamo a vicenda e telepaticamente so ch’eri presente con me mentre cercavamo posto in quella situazione che non abbiamo mai vissuto. nuoto fedele nel verso del mio istinto, coloro di bianco lo sfondo sul quale ti adegerei per osservarti sorridente e, oserei dire, beata. dove ti immagino sei il perfetto soggetto di una più semplice cornice, manifesto del mio godere a perdifiato dell’emozione trascinante dell’abbraccio sincero, del bacio disincanto, dell’odore tuo morbido immagino. forma piatta l’altrui presenziare, il giudizio dei cuori sazi, delle menti spente che guidano in quei sentieri che non ci sono mai piaciuti, entrambi certi di quell’occhio aperto che scruta l’animo perfetto con il quale vorresti sostare nel tempo; mentre io, ingenuo, abbasso il capo e cerco di non bussare alle porte della tua intimità; io scemo. se era bello è perchè è stato così. allora evito il definirmi scemo, sicura tu di non averti nascosto quelle mie ingenuità più deleterie, i modi in cui setaccio chi non si allontana per così stupidi ostacoli. anche se ti fossi incastrata nella maglia definita, certa, forse non sai d’esser stata risollevata. buon tempo. non è finita ancora l’estate. il monte ci ha consigliato quand’è che stiamo bene. e che stiamo bene insieme, quando è il nulla che ci ha cresciuti ad essere la cornice del nostro amarci al sole, da soli, con lo sguardo dei soli alberi attorno, senza la timidezza di nascondere quello che abbiamo visto negli altri lungo tutta la nostra vita, corta o lunga che sia. aspettiamo la nebbia così magari non ci saranno le condizioni per abbandonare il nostro ben stare. il sole basta, senza troppe storie attorno, disegna gli eventi che spaventano la nostra conoscenza. incute l’ingiusto timore che abbiamo nell’affrontare entrambi il mutismo che ci unisce. mentre mi cerchi su piattaforme comode, io, al conteggio del sudore che dovrò versare, cerco di misurare le parole che vorrei consegnarti, come fosse semplice, come se avessi un anno intero per pensarci. quindi il domani è domestico, proprio ed anche per questo. mi raccolgo fiducioso nel letto che non mi appartiene. i piedi finalmente non sono gelati, mentre ritrovo il letto che meglio considererei come mio. lo guardo, e ricordo, la lunga strada e la forzata deviazione fatta per quei soli due minuti di raccoglimento, e, se ci penso, neanche sia così speciale. la forbice ha saputo confrontarsi con il tuo sguado sordo allo specchio mentre io aspettavo un tuo cenno. un fiero respiro mi da senso di attendere. ora ho capito che quel sole che riflette sull’acqua sarebbe il migliore sentiero.