presupposto.

devo averne fatto a decine. quando ero ragazzino davo una grossa importanza alle mie certezze. molte canzoni mi ricorderebbero la distanza che ho acquisito attraverso il tempo nei confronti di quello che più mi apparteneva, che più proteggevo o scoprivo. con il mio aiuto qualcuno potrebbe tranquillamente spiegarmelo. ho sempre avuto la tendenza a complicare tutto, ma non ho mai omesso dettagli fondamentali alla comprensione, anche se parziale. per alcune persone è molto importante salutare ripetendo un nome, oppure facendo domande a terzi parlando “privatamente”. forse era tutto collegato. forse le mie sicurezze si costruivano dal fruire della mia sensibilità agli impulsi espressi a raffica nell’insieme della quotidianità, seppur di una città piccola, seppur lontana dal futuro per molti versi. poi c’erano mesi in cui stavo accanto al mare, e vicino ad esso, si sa, passa chiunque continuamente. il vento soffia le persone come i granelli di sabbia, al buio ci riconoscevamo in pochi, non parlavamo ma appoggiavamo le fronti sudate l’un l’altra. gli occhi alla luce del fuoco sapevano proiettare quello che non saprei descriverti che sono, noi ci capivamo. ho dovuto per forza disegnare per fartelo vedere, o almeno per raccontarti un flusso racchiuso come in un sasso, denso da essere nero, protezione di se stesso. qualcuno ha anche commentato i nostri discorsi in silenzio. ho riconosciuto molte cose in alcuni respiri, ripeto, il fuoco regalava la miglior luce all’invisibile. come elaborazione inconscia c’eravamo, molti non avrebbero mai potuto parlarne il giorno dopo. si continuava un gioco assurdo, colorato di fantasie diverse spesso creava distanze e forti incomprensioni e delusioni. eravamo tanto distanti dall’essere normali attorno a un fuoco o allo stesso modo a tavola quando quasi eleganti; comunque non faceva molta differenza. passavo le ore a scavare sicuro che avrei trovato qualcosa di diverso all’acqua. c’erano parole che sembravano importanti, e spesso diventavano dei mezzi strani. la vera sicurezza era quello che ci raccontavamo quando la sabbia era morbida e fredda, e il mare colorava le stelle in una tela infinita che mi manca come l’acqua in un deserto. chissà quante volte siamo cambiati giorno dopo giorno. per alcuni era tutto troppo cupo per non doverci scherzare sopra. spesso invidiavo quella libertà, che almeno tale mi era sempre sembrata. e spesso infatti si nascondevano dietro finte simmetrie, ad inventarsi risate. stasera sono sicuro che mi hai salutato l’acqua. solo ora capisco quanto bene facemmo, in mezzo al brusio altrui, a ringraziare le onde.