quattro sempre.

al colore dei rimpianti sapremo dare la giusta luce. il palco è vuoto proprio per la mia presenza assente, per la figura sola, per quel dolore celato dai sorrisi di un attore capace. senza le attenzioni di chi sa accogliere sposterò lo sguardo verso il sole, ad accecare i miei istinti verso la speranza di una presa di coscienza, di una decisione che potrei aver deciso di aspettare. rendo il mio sguardo inespressivo a quell’idea di seduzione che ho abbandonato. sono altre le forze che mi coinvolgono, e serena ritorna la convinzione di un’idea genuina, pietra modellata dagli anni della delicata violenza dell’acqua di un ruscello che scorre. il favore alla tua presenza, il tappeto rosso è per i tuoi valori. mi giro di scatto e guardo verso il buio dei luoghi che devo mantenere tali. so già come cantarne, so già come rendere noto agli animi capaci i contenuti del mio silenzio verbale, dei messaggi delle vibrazioni d’aria astratte, sicure, portatrici di valori oltremodo irriproducibili. sempre che te ne mostri, sempre che tu ne cerchi. è una forza che abbiamo quasi saputo pesare, in una danza ancestrale, di quelle anime che hanno sentito cantare di ogni sofferenze e d’ogni gioia. e delle nostre glorie forse non saremo neanche capaci di gioirne. ma all’incontro delle nostre estremità, quando si sfiorano sincere, sappiamo che così sarà, che la nostra percezione è allenata a tale portata di importanza. mentre io, troppo abituato a stare solo, sono più bravo a sbagliare e stare zitto. solito ad arrivarci ore dopo, quando sono già immerso nel nulla che crepa. con il calore dell’acqua cerco di scogliere quel blocco posto al centro delle mie vitalità, l’affanno che mi permette concretamente di produrre calore. perché molto spesso per produrre calore mi trovo a far bollire il sangue, ad agitare l’esubero che sono abituato a consumare. vedo solo dopo la culla ideale dove proiettare la pace delle mie energie. anche se non mi sento vicino a niente, se non a quella dimensione. ma mi sento di inseguire la mia stessa solitudine, spesso, quando poi realizzo che l’immaginazione mi avvicina a realtà che non vengono espresse. poi divento instabile, contraccolpo al tentativo di silenzio. un’inattesa serie sperata di singulti, comunque strozzati, comunque bloccato l’ingranaggio magno. un braccio piegato verso lo sterno, l’altro ne accarezza la pelle crespa. sensazione di smarrimento centenaria. volto coperto. passi lenti e miseri. purtroppo non posso chiudere gli occhi più di così. non li riapro se non per guardare le cose illuminate dal sole, senza essere interessato al sole come alle cose, ma a quanto permetta alle due di comunicare tra loro, a quella cosa che non posso vedere. tornano le stesse immagini, come un loop di pellicola che continua a rigirarsi nella macchina. la sicurezza del bambino che accarezza la sabbia fresca al tramonto, prima che la sabbia diventasse polvere e la spiaggia cantiere.