Sara

Cresce l’umidità, le ossa ascoltano i movimenti della nuova stagione.  Mi da un consiglio che mi sono concesso forse mai nella vita, la ascolto. Penso di sapere dovrei potrei iniziare, quel percorso che mi ha sempre fatto storcere il capo. Prendo un foglio bianco e scrivo alcune cose che vorrei dire, le sovrappongo l’una sull’altra finchè perdo memoria di cosa nei precedenti istanti stavo pensando. D’istinto cerco di distrarmi nel modo più veloce, mi ritrovo con una matassa d’irrisolto. Rapporto quell’oggetto alla mia quotidianità e capisco che le mie convinzioni sono un soffio di vento freddo. Sorride, ci siamo capiti in un  frammento d’istante. Prendiamo le bici e attraversiamo la cintura verde di parco che taglia verticalmente la città. Ci chiediamo da subito se al ritorno dovremmo attraversarlo al buio, questa sera forse non aspetteremo l’alba. Ci godiamo questi minuti di conversazione libera intervallati dai commenti sull’abbigliamento dei locals. Lei mi ha già detto che questa città non sarà la sua futura casa. Cerco negli odori qualcosa di familiare, qualcosa che mi triggeri un sorriso. Mi servono pochi sguardi avvolto nei pensieri per dimenticarmi immediatamente tutto. Quella libertà che cerca il mio inconscio per parlarmi di me stesso, di tutte quelle cose che non ricordo e di tutte quelle emozioni rinchiuse. Mi vengono in mente i volti di chi con me ha segnato dei punti di attenzione in quelle cose che in questi momenti mi rendo conto di non aver affatto dimenticato. In mezzo al petto si concentra il mio impulso, una spinta che non conosce uscita. Non sembra un’energia che appartiene al corpo, quantomeno da esso non sembra essere assimilata. Lei continua dritta e sa che in questi momenti sono lontano, la sua curiosità mi consiglia che forse vuole vedere come si vede qui dentro. Bastano pochi istanti di distrazione per aver perso traccia dei movimenti, il nucleo pulsa ancora nello stesso punto ma le propagazioni sono disallineate alla mia coscienza. La motivazione di questa spinta ossessiona la mia mente da sempre, i suoi obbiettivi mi sembrano salubremente estranei alle abitudini amministrate dalla nostra società. Arriviamo nel locale pieno di macchine da scrivere e i cadavre exquis di frasi sui fogli al loro interno, che i passanti arricchiscono. Iniziano a conversare in quella lingua, le pulsazioni sono deboli e la mia attenzione è attanagliata da troppe cose in questo momento. Anche lei è distratta, spesso in questi momenti non capisce che se cerco di andare lontano lei mi chiederà se va tutto bene, generando un senso di inadeguatezza che tormenta da sempre il mio essere sociale. Educatamente esprimo la mia confusione, mi sembra un chiaro messaggio criptato. In questo momento sento sempre le persone prendere distanza da me. Eccolo, il sommo pulsare raccoglie questa scintilla e ora sarà difficile alzare gli occhi da terra. Non che mi spaventi, sono sempre gli altri a spaventarmi in tal situazioni. Si scurisce il mio umore man mano che la mia capacità di condividere quest’esperienza si rende impossibile. Questo mi esclude, mi pone la solitudine da quel lato oscuro per cui non mi è mai capitato d’apprezzarla. Mi guardo attorno e vedo il niente che a poco a poco si riempe di vegetazione e occhi di animali che non mi fanno sentire a disagio. Non sono in grado di comunicare nulla in questo momento. Non sono in grado di mostrarti alcun percorso per avvicinarti. Lei mi guarda negli occhi e non dice niente, sorride enormemente perchè sa dove sono. Sa che ora può farmi qualsiasi domanda. Proprio per questo mi fa la domanda per me più complicata, chiedendomi come sto. Cerca di intuire dove mi trovo dai tentativi di semplicità che le mie parole contorte tentano di nascondere. Mi sembra il cancello della mia persona, anche da me invalicabile. Ma solo in questi momenti mi è concessa la sbirciata dalle inferriate per capire io stesso lì dentro che cazzo sta succedendo. Non riesco a ricordare le canzoni che ascoltavo con mia madre in macchina quando avevo quattro anni, le strade le ricordo bene seguire il profilo tondeggiante della collina. Ho sempre avuto il timore di trovare poco, forse per questo ho tanta paura di sapere chi sono. In quella macchina non mi sembrava niente granché complesso, ma era strano capire quanto con mia madre fossimo vicini e lontanissimi. I miei desideri e le mie visioni erano forti, protesi alla purezza del così faticoso impegno per la loro longevità, che si cibavano del mio corpo tutto. E quell’amore unidirezionale verso un creatura che inizia a volersi trasferire alle altre persone, come condivisione pacifica in quanto esistenziale, dove per me la disonestà non ha valore perchè non esiste. Ti guardo e mai ti mento con gli occhi, anche questo ci ha sempre aiutato a fidarci di noi. Spesso abbiamo vissuto queste esperienze da soli e in diversissimi contesti. Tutte queste differenze spesso ci hanno aiutato a riconoscere che abbiamo vibrato allo stesso modo o che quantomeno con quel linguaggio ci capiamo. L’ abbiamo capito da quell’evento e lentamente realizzato che la nostra comunicazione avveniva anche senza il telefono e i messaggi. Se mai ci mentissimo ne saremmo lacerati entrambi, ci siamo abbracciati puri. Sono anni che le nostre vite hanno preso le loro strane e interessanti strade. E ci serve solo di incrociare gli occhi per riprendere da dove abbiamo lasciato. Tanto eravamo lontani da casa, tanto riuscivamo ad arricchire il nostro sentirci al sicuro. Ci avviciniamo a casa tua mentre ridi continuamente al mio ridicolizzare perpetuo di dove siamo. Le nostre risate si ponevano sul religioso conversare delle persone del posto, spesso triggerando reazioni che non prendevamo completamente sul serio. Quanto abbiamo conosciuto di molte persone di e in questa nazione ci fa guardare ogni cosa di questa complessa cultura in un modo completamente differente dall’iniziale affascinato entusiasmo che ci ha portato qui ad incontrarci. Metto le cuffie mentre sali le scale. Mentre pedalo pongo la maggiorparte della mia attenzione a quello che ho attorno e ripenso a quello che ci siamo detti e di come interagiamo tra di noi nei diversi contesti. Lo facciamo in maniera incomprensibile probabilmente anche di fronte a chi parla la nostra lingua, sappiamo capirci senza riferimenti.

Sento strano il nostro stare insieme da lontano, posso vivere la nostra amicizia solo attraverso i ricordi e le fantasie. Tanto non ci sentiamo scrivendoci, tanto ci cerchiamo nelle cose. Ignoro troppo spesso ultimamente di ascoltarti nel vento, non mi bastano più le vibrazioni d’aria create dalla musica con cui mi accompagno. Assente percepisco ormai l’affetto che sarebbe opportuno il corpo vivesse. Mi manca l’amicizia come quando lo stomaco mi ricorda di mangiare. Tu che ti ho nel corpo con tutto quello che sono, non potrò mai smettere di sentirti viva e che t’amo.

Ci salutiamo, non siamo mai stati capaci di farlo perchè non smettiamo mai di comunicare e sembra forse una forzatura. Quando ci risentiremo ci renderemo conto che alcuni discorsi li abbiamo effettivamente conclusi negli anni. Alla prima scintilla si riaccende il focolare tutto. Un bagliore che da sempre i nostri occhi amano accarezzare. Le nostre sincerità hanno avuto l’occasione nobile di amarsi. Sembrano le fondamenta per una visione di fiducia che condividiamo, concedendomi l’errore di poterlo dare per scontato ora. Mentre pedalo mi rendo conto che proseguire i ragionamenti su quanto ci siamo detti é per me insoddisfacente. Cerco di riassumere il flusso in un unico concetto che ponga connessione a tutte le cose che mi piacerebbe condividere con te. Cerco con gli occhi i riferimenti delle cose che mi permettevano di tornare a casa in questo labirinto che ha vissuto ere troppo differenti tra loro. Un intrecazione di culture poco armonizzata che sembra aver avuto un effetto devastante sulle persone. Il loro rapporto con le emozioni è dilaniato da promesse strozzate e blocchi irremovibili e incitabili. Mi ricorda l’omertà di dove sono cresciuto e mi sento immediatamente connesso in maniera deviata a questo contesto. Il solo aver vissuto questa città con te è qualcosa che ha contribuito a buona parte della persona che sono. Non saremmo mai capaci di farci del male, lo sappiamo dal primo sorriso. Dovremmo stare da soli insieme più spesso io e te.