valldal

non avevo mai detto che volevo essere primo e figurare bene. volevo solo passeggiare ed essere il piu’ chiaro possibile aspettandomi un ricambio degno fatto di sincerita’ ed empatia. se me l’aspettavo e’ perche’ credevo ne fossi capace. se mi rispondi che non ci avevi mai pensato allora non mi conosci oppure non vuoi parlarmi di quello che pensi. mi spaventa non conoscere i pensieri di alcune persone. quelle di cui non ho interesse posso dire di non averle mai incontrate. faccio finta di scusarmi e  me ne vado. mi porto dentro tutto e facciamo finta di niente. io lo ricordero’ praticamente sempre. praticamente sempre.

ho provato a parlarti anche con le vibraziuoni dei suoni. ma il tuo inconscio poco attento ti ha ricordato che farmi un favore ti costerebbe molto. soprattutto fare quello che per me e’ un favore. non tendermi un bicchiere d’acqua quando credi che abbia sete. non devi giustificare che tu abbia sete e farmi partecipare. qualche volta hai ragione ma molte altre mi irriti. dovresti gia’ sapere che i miei aculei non sono velenosi; e che sopratutto non li espongo mai, almeno non come potrei.

molto spesso mi chiedo cosa io viva a fare visto che tutto quello che facciamo e’ finto. cosa e’ che realmente provo quando vado in bicicletta? quanto organico e’ il mio sognare? a che ora mi sveglierai domani? quand’e’ che piangero’ sincero osservando il mio passato a valle, dal monte da cui potro’ iniziare a camminare da solo?

le domande di sempre farcite da un accumulo di stanchezza sempre minore ma piu’ concreto. ti faro’ leggere sempre tutto perche’ non sono come te. che sia stato tu a crearmi o meno. se dici di essere mio amico anch’io ti chiamero’ tale. se dovro’ contare su qualcuno ahime’ faro’ una doccia. se vorrai abbracciarmi mi chiedero’ chi sei. mentre mi farai desiderare cose che non voglio mi chiedero’ chi sono.

ci sono tutto io qui, l’ennesima volta. bastera’ uno sguardo per abbattere quell’orgoglio che poi in fondo non voglio. mi ricordero’ di te pensando a quando eravamo insieme in silenzio. cercavamo di capirci ma solo tu mi giudicavi. evitavo spesso lo scontro per non vincere; e non mi ringraziavi mai. facevo finta di amare qualcuno e mi ricordavo comunque solo. appuntavo idee che poi si emozionavano smarrendosi tra i loro sbocchi. era come seminare campi altrui, mischiando tra loro tutti i semi e senza preoccuparsi dei tempi e delle conseguenze. conservavo quel tipo di incoscienza per quando volevo stupirmi.

mia madre diceva spesso cose che non mi interessavano o che gia’ sapevo. ma era quella la frequenza di suoni che dovevo sentire. sara’ perche’ e’ la persona mi ha visto piu’ volte piangere.

cambiavo sempre discorso dopo momenti del genere, perche’ capire certe cose avrebbe fermato certi muscoli. i riferimenti si dissolvevano nell’impersonalita’ di alcune  metafore ben gestite per lo scopo desiderato. cercavo di aspirare dall’incoscio le possibili prove schiaccianti dell’influenza altrui. ricordo quando ero giovane ed urlavo spesso. faceva caldo ed aspettavo insulti. ricercavo forme di personalita’ all’interno di modi di espressione molto particolari in cui ci mettevo tutto me stesso, alimentando la voragine di controsensi di questo intero concetto. erano anni brutti che ricordiamo belli. facevo spesso ombra su quello che scrivevo. la musica mi permetteva di fissare il soffitto per ore; ancora ascoltavo il tuo fastidio. sono cresciuto imbruttendo, ma e’ ora che mi piaccio di piu’. guardando le fotografie mi ricordo che ero meno attento. ancora oggi pero’ ho problemi a raggiungere sinteticamente una conclusione. mi dilungo senza annoiarmi ma l’attenzione altrui diminuisce. mi chiedo se vale la pena continuare un discorso che ti annoia, amico.

mi chiedo se delle volte e’ cosi’ evidente  che io stia smettendo di fare qualcosa e che tu te ne accorga cogliendomi preparato ed in un momento scomodo.

appoggio la testa e, per questa volta, mi terro’ tutto per me.