c.

il palato ancora trasudante quei strani giochi di percezione. pazzo guardavo il ritmico “essere” nella mondana teatralità. guarderei volentieri tutti i gesti compiuti con la bocca, le sopracciglia e gl’occhi. come sempre inaspettato e banale s’è presentato, il consolidato schema dello sviluppo dell’evento, fine alla sua utilità. opaco rimane il perchè di questo sostare delle persone, che potrebbero anche desiderare altro; e la domanda, con naturalità si pone, semmai fossero costoro capaci di desiderare. è stranamente difficile trovare la giusta collocazione per questi comportamenti, sui perchè e sui percome. fatto sta che ogni volta trovo assurdo ch’effettivamente così possa essere. i numeri sempre si ripresentano. e mai riuscii concretamente a contare..feci sempre attenzione a non innalzare troppo il livello di attenzione, comprimendo le mie percezioni alla multi-rielaborazione postuma consolidata essa stessa nel macabro e copioso processo. quanti però dei miei tentativi si contano, quante le volte voglioso di sfasciare gli algoritmi che inevitabilmente mi impediscono di partecipare attivamente all’essere annoiatamente presente. mi faccio trascinare..molte volte sono io stesso a permetterlo. e l’immutabile e maledetta convinzione, che, in mezzo a queste ombre, il suo sorriso abbia quel gratificante significato, che, ahìnoi, vi si presenta a doppia lama. io, il chiodo imbattuto pronto a piegarsi, mai, suppongo, sarò in grado, con questi elementi, di gestire le possibilità che queste situazioni offrono. rimango congelato, con la sensazione dei pesantissimi occhi che potrebbero e dovrebbero esserti addosso. la dolcezza della materia non aiuta, le altrui possibilità che si mischiano alla già impazzita roulette rendono tutto più tetro, malato ed ingestibile. gli occhi sgranati a cercare qualcosa. la puzza di tutto ovunque; e il muoversi così formale di tutti, e creare dei sentieri in mezzo agli umani arbusti..che si spostano per permettere ad altri di attirare l’attenzione..la mia nullità di fronte questi moti: incompresi, invadenti. le auto domande che spoentanee sorgono..il tirare la corda a chi hai offerto un piccolo posto per le mani su di essa. la noia e l’impotenza. intervalli di sorrisi, i suoi, potenti e magnetici. la sua gestualità, potenzialmente ancor più letale; la naturalezza che si mette in mostra, tra le mille domande su come ciò possa essere considerato reale, considerando l’intera scenografia. quello che ne è stato là dentro, e quello che immagino ne sarà. le braghe comunque calate..e l’ano irrimediabilmente/costantemente in mostra, che non ha mai avuto veramente paura degli sconosciuti. le ossa che non reggono, lo sguardo troppo impegnato che presto si stanca; la malvagia a-temporalità che abita la percezione stesso di quanto accade..tutto comunque lungo e percepito meta presentemente. la convinzione di poter leggere dal cinquantacinque percento dei punti di vista..dimenticando di dare un occhio anche a sé, ma non sempre.
il basta che mi viene istintivo. il mai a cui non ve rimedio. la mia posizione così non desiderata, ma pensata tale da chi, poi, in fondo, proprio non mi conosce; almeno non completamente.