vedo persone muoversi continuamente. siamo tutti nello stesso luogo, chi per un motivo chi per l’altro. mi chiedo per quale ragione continuino a muoversi da un punto all’altro di questo posto, senza apparente scopo. rimango fermo ancora un attimo e continuo ad osservare il solito moto, avanti e indietro. non comprendo. quanto di più ridicolo noto comunque non è questo: alcune danze e rituali si mostrano necessariamente in modo molto patetico, mentre bevono sieri illudenti, sorridono e si abbracciano. faccio finta di non avere motivo di condividere la mia presenza con queste persone e rammento il motivo del mio stallo nella stessa posizione, non riesco a muovermi, non ne ho motivo. la prossima volta non chiedermi perché non sorrido, sto solo pensando. in un momento come questo è l’intestino che reagisce più velocemente del resto, mi sforzo per evitare il trangugio di composizioni dolciastre. vorrei un unico suono profuso esclusivamente all’altezza delle orecchie, un suono stanco e spiazzante, bislungo e profondo; così da stancare ed impegnare le menti presenti, da farle decidere cosa veramente desiderano in quell’istante di finzione scenica, costruita da una mentalità senza energia evolutiva, chiavica essenza di spreco di forze, culturale omissione di rapporto tra senso di causa nell’effetto e gestione di quest’ultimo, il tutto è demoralizzante. se dovessi avvicinarmi a te in quel momento, capirai, sarebbe difficile mantenere la concentrazione e saperti sorridere nel modo che vorrei, e dirti cose interessanti, e coltivare la voglia, che potresti avere, di chiamarmi domani. la mia timidezza incontra la mia ignoranza sull’argomento, se ne crea una situazione spiacevole, in cui la sola cosa che sono capace di fare è guardarti da lontano, e sperare che sia oggi tu ad avere spirito d’iniziativa. non c’è pressione; solo esigenza d’utilizzare il tempo come mi è raramente capitato di passare, perché ho sempre fatto dell’altro. il mio punto di vista si riduce all’interno di una chitarra, tutto spigoloso e buio, e le corde sono il modo in cui misuro la realtà. concedimi errori di prospettiva, che già non ero certo ferrato in materia. ora sono tranquillo, ed è in una situazione come questa in cui dovremmo parlare, in un grande foyer e la sala cinematografica buia e vuota; qui di sicuro mi sento a mio agio. la cosa che mi interessa di più, seriamente, è dove ti sentiresti tu a tuo completo agio, perché, perdonami, io ancora non sono completamente sicuro d’averlo ben intuito. poi, quanto i tuoi amici pensano quando mi sorridono, è solo curiosità la mia. quando sento che una persona possa essere simile a me inizio a farmi certe domande, mi è spontaneo.  per fortuna non t’ho mai vista sorridere con sguardo assente e scuotendo ripetutamente la testa a destra e sinistra, mi fa pensare bene di te.

ora siederò ancora qui per un pò, a pensare quanto mi vergogno a scrivere.