passeggiate lunghe quando l’impiego del tempo rischia uno sviluppo infruttuoso, che porterebbe al rammarico. piacerebbe avere la leggerezza d’animo e la possibilità di tempo di muoversi a passi ritti, fiato corto e sguardo basso, e sperare d’esser disturbato dalla presenza cercata. l’ozio, in questa fase, non è condiviso come impegno, come -just chillin’-. gli impegni corrispondono un’impalcatura, che mi circonda completamente. la costruzione dei miei pensieri è appaltata in malo modo, frettolosamente sviluppata senza alcuna etica logica. le scelte che pongo al mio giudizio non sono del tutto spontanee, nonostante sia quanto cerco. la mia ricerca sembra ridursi alla mia forma, non più alla virtualità delle costruzioni vicine. siamo insiemi artificiali, le quali azioni sono elaborati mentali d’istinti che difficilmente possiamo avere presunzione di chiamare, ancora, naturali. vibrazioni forti scuotono la struttura, sempre tesa e fragile, sempre pronta a crepature definitive, massive. vomito scarti di macerie continuamente, non sembra piacevole al mio fisico; questo riporta nuovi dubbi sulla mia presunta naturalità. annuso l’aria e le goccioline di nebbia che mi avvolgono non sono acqua, non è nebbia. l’odore mi riporta a qualcosa distante dai miei ricordi da piccino quando rotolavo nell’erba o sulla sabbia e l’acqua aveva un sapore definito e riconoscibile. un pò mi sfugge il passaggio da questi ricordi agli operai microscopici che mi punzecchiano la pelle adesso. tendo a considerare comunque il sogno che ho fatto di recente, che se potessi tornare in quell’acqua che ben ricordo questa avrebbe un sapore diverso, ed una terribile pellicola oleosa in superficie. riconsiderando la mia statuaria stabilità adesso mi viene triste il pensiero di non poterti cercare con lo sguardo se non dove sono obbligati i miei occhi. qualora dovessi passare non potrei comunque sfiorarti e non ci sono energie per esclamare il tuo nome, a meno che non sia tu a notarmi, ad avvicinarti; ma questo, ahinoi, non è successo molte volte. ma anche se dovesse succedere non potrei camminare accanto a te, non potrei sfiorarti, non potrei osservare i tuoi movimenti nelle diverse situazioni. rimango in silenzio e riduco gli sbattiti delle palpebre. le punte delle mani sono congelate, impossibilitate al movimento e principale parte sensibile al freddo. mi rimane il sonno, che ultimamente è l’unica dimensione dove ti incontro e dove m’è anche capitato di baciarti senza inciampare prima, senza dire la cosa sbagliata, senza -potevo fare così-. ma ahimè, la preoccupazione più grande, adesso, è uscire da quest’impalcatura.