la mia sfera sensoriale avverte il cauto affacciarsi di una dolce stagione; la mia sopportazione per l’altrui invece trova ulteriore e sempre più irrecuperabile sbocco nell’abisso, quel che definito tale per la sua inaccessibilità, nascosta nel buio. spreco parole, permettendo un buon sostentamento del mio voler riflettuto. nuove etimologie intanto mi sovvengono soventi istintuali personali. inizio il goder del femminile affacciarsi ai miei occhi, mosso con il frustrarsi delle mie capacità gestionali in merito all’esecuzione dei voleri osservati e capiti; muore in me dunque il rifocillio d’istinti, traspare l’incapacità allontanante qualsivoglia naturale invito. nelle più aperte occasioni provo disdegno, nel più elevato spirito è la difficolta a farsi padrona di me, occludendomi con timidezza. ne provo e ne penso, quante ne penso, mai a trovar giusto sbocco d’ impegno in tal esortazione di prostro: risveglio di silenzi emblematici e di frasi e di gesti che neanche a pensarli pianificantemente sarebbero propinqui. tento di elidere l’iper pressione caffeinica mentre i battiti aumentano la mia ormai imprescindibile instabilità di fisico e psiche.