una manciata di coriandoli organici lanciata a favore della valle. sorridenti diamo fisicità al vento, cerchiamo di scoprire le sue forme. confermiamo l’estrema responsabilità degli architetti, già aggravati dai danni di una costruzione in sè; commissionati da panciuti di bell’aspetto mettono a confronto realtà che non possono sposarsi, che collideranno per forza. ma non mi sembra il caso adesso. tranquillamente, il trillico muoversi della ventola si duplica sulla scrivania, a fasi alterne percepisco alcuni muscoli sollecitati allo stare fermi, ad aspettare risposte a quelle domande che avrei voluto fare ma. questa non è la mia scrivania, e vorrei poter dire la stessa cosa riguardo al letto di stanotte. muovo continuamente i pensieri, l’unico modo che mi rimane di viaggiare, l’unica possibilità dei miei saltuari stipendi, l’unico modo di vederti quando egoisticamente ne avrei bisogno. l’ultima volta eravamo in un posto accogliente, avevi interrotto i miei pensieri chiedendomi perchè non fossi tornato indietro, capendo solo in quel momento che tu m’avessi visto. dopo un abbraccio spontaneo e poi il mio solito essere inghiottito dalle persone in quei momenti, molto classico. la bambina cercava quella solitudine che le permettesse d’esprimersi sul foglio bianco, sporco di righe o quadretti. passavo di là e la notavo, il suo disagio era silente, subito ho riconosciuto l’imbarazzo della possibile intromissione di un estraneo nel suo mondo grafico, esclusivo e diario di segreti. le pause derivate non sono state decise da lei, non sono state decise da me. resto al fianco del mio non voler dividere quel momento con nessuna delle persone in sala, un’ottima motivazione è non disturbare più la bambina. il suo guscio è rigido ed inflessibile. la mia coscienza si paca. io non ho fatto nessuna scuola, i miei errori rispecchiano i miei passi, i miei istinti. la luce non ho ancora imparato a gestirla, il mio punto di vista lo sento più forte di un accademismo senza carattere, che ti sembri presunzioso o meno. forse non ti ho mostrato il colore dei miei occhi. arrivo comunque sempre in ritardo. quando non è definito un appuntamento. io esco per svago ora, proprio poco dopo che sei rientrata a casa. i miei orari non hanno mai avuto a che fare con le vite altrui, a mio scapito, ma non solo. secondo questo ragionamento avrai queste informazioni mentre starò dormendo, semmai l’avessi lette ora, e io fossi rimasto al passo dei tuoi tempi, magari, in uno scatto d’impulso, m’avresti chiamato. mi baso sui suoni che ho dimenticato di registrare. non espressi e non abbandonati. sempre e solo immaginati e mai veramente estratta la radice dei concetti a cui essi stessi sono ancorati. ti troverei volentieri fuori dalla porta del piccolo teatro, mentre mi affaccio sul lato morto della nostra città di lavoratori. non mi faccio neanche fretta, perchè so di aver già fatto tardi oggi, al tuo orologio. vado verso le mie incertezze; quando ti va, urla.