fuoco.

mi chiedo a cosa debba assomigliare in questo momento un cambiamento. potrebbe voler essere la degna conclusione a tutti i tentativi apportati, alla grossa fatica fatta e pensata. la classica conclusione che diventa inizio, quello che vuole essere il poter esprimere quel lato a lungo represso che non ha più sede nel corpo dov’è intrappolato. lo stato febbrile accompagna l’accettazione, la temperatura della testa testimonia la malattia di certi pensieri, il depuratore di idee ha bisogno di molta energia, e approfitta della debolezza a cui mi sono imposto non mangiando, cosciente di quanto sia importante un po’ di ordine ogni tanto. muscoli indolenziti. l’acqua calda mi ripropone la realtà. metto a cuocere i miei sogni, questi, che non vogliono essere mangiati, pretendono sì la mia attenzione, io così distratto da quello che mi dicono debba fare e quanto invece non faccio; custodisco tutte le risposte che mi servono, te ne propongo alcune su un vassoio neutrale. alcune ho bisogno di sentirmele ripetere, far si che i pensieri acquisiscano come una dimensione solida. altri li temo e li combatto buttandoli al fuoco, e questi ritornano e io li brucio ancora. un giorno saremo seduti sulla stessa tavola e coprirò l’aria di talmente tante vibrazioni da non poterci per nulla sentire; permetteremo alle nostre smorfie di fastidio a completare i convenevoli, saremo consapevoli nel silenzio dell’intimo pensare di quanto abbiamo bisogno dell’altro. per accettare molte cose ho avuto bisogno di rinnegarle per anni, e quando incontro questo fare nei tuoi occhi ne sono sia felice sia triste. mi preoccupa quanto lungo possa essere il tuo percorso, lo sono perché ho piena convinzione di dove tutto dovrà finire, e io sono al traguardo ad aspettare la fine della tua corsa. ti ci potrebbe volere un minuto, ma il cervello insegna quanto una cosa vada vissuta prima di renderla effettiva alla percezione nel quotidiano. il mio corpo mi ha detto molto a riguardo, ed il mio silenzio si costruisce sulle consapevolezze dei traguardi raggiunti, dei respiri profondi, mentre i sogni tendono sempre a buttare aria al proprio mulino, mi confondono continuamente, mi dimostrano come tu sia perfetta al mio concetto onirico stesso, e la mia fortuna rimane quella di conoscere la tua perfezione reale; si propone una fusione di intenti, il corpo e la mente vogliono raggiungere l’equilibrio tra l’ideale ideale e l’ideale dimostrato, e quella dimensione luminosa sul tuo iride ne è una mappa nitida. non continuerò a rifugiarmi dietro la mia stessa ombra, metterò in pratica quell’unico modo che mi piace di illuminare il mio viso che mi nasconda leggermente gli occhi, i quali arrossirebbero al primo tentativo d’attacco subito, l’ombra li sa proteggere e li mostrerei solo quando devo parlarti di cosa credo sia la verità, il resto lo lascio sparso per le strade, per le stanze e per tutti quei dove mi capiti di passare o più facilmente lì dove sono più abituato a vagare. lascerò quei segni come pitture rupestri, chi saprà leggerli saprà capirmi, e un giorno prima o poi sono sicuro che ne parleremo. vado ad urlare nella stanza in cui mi è permesso farlo, dove la possibilità di isolamento mi permette di alzare il volume. impugno gli strumenti e concentro la forza in quello che va dal basso ventre fino al corrugare della fronte. pongo i miei segreti a frequenze fastidiose, eccito la mia percezione a sensazioni che la musica non ha attraversato del tutto negli anni. prendo appunti, guardo fisso l’ipotetico vuoto e svuoto i bronchi. mi viene facile immaginare il tuo sguardo addosso a cercare di capire. l’immaginario derivante è una dimensione personale del tutto poco accessibile. non so se ti sia mai capitato di essere solo in una stanza a non poter sentire neanche quanto tu stia urlando. ecco, mi è difficile fartici immergere. anche per questo che nessuno solitamente è invitato a parteciparne. è in quella dimensione che le mie energie si concentrano dovutamente all’unisono della forza che le produce. è un eterno ritorno del proprio io che si descrive. la massiva via di comprensione dei viscerali impulsi. focalizzo quello che c’è tra me e quanto otticamente posso realmente mettere a fuoco. prendo coscienza dell’aria che si muove. immagino numerose dimensioni meccaniche a danzare il mio assurdo, dalle rotazioni incontrollate di moti perpetui, al cardiopatico battere di martelli su un ipotetico concetto di calma. delirio delizioso di un anima antica. dimensione perfetta della sincerità di un intelletto isolato. nessuna novità sul fronte della ricerca espressiva, in un certo senso. da anni ci rifacciamo al più tenero abbandonarci, sicuri del successo talvolta anche del cooperare, quando faccio rumore insieme ad altri. sorridiamo della stessa amarezza, siamo contenti se quello che vogliamo dire lo facciamo in modo netto, lucidamente cupo. proviamo a dare voce a quelle cose che proviamo in silenzio mentre passeggiamo. pretendiamo di essere portavoce di un grosso insieme di sicurezze costruite sugli errori, sui malesseri e su quanto negli anni abbiamo scoperto mentre giocavamo insieme. il cielo si colora come non mai, spero succederà anche a me.
p.