appartengo.

riapro il rapporto di qualche giorno fa. mi ero detto che ci avrei ripensato, che le parole vanno pesate bene, che non si deve sprecare l’occasione di esprimersi di fronte a chi sei convinto che possa capirti. mi guardo attorno non troppo frettolosamente, e convinco il mio battito cardiaco di aver trovato le parole di cui necessito. appoggio il grande foglio bianco sul tavolo e vi disegno il telaio dei miei movimenti, anche se ogni tanto ho la percezione di non essere la persona adatta alla cosa. il corpo si impone, l’affanno del mio respiro mi comunica un dovere che ho nei miei confronti. inizio a capire quanto avevo già capito; inizio ad avere conferme riguardo quanto avevo archiviato come intuizioni. c’è qualcosa che non mi è stato detto, e potrebbe essere l’unico o il più importante dei dati che mi manca. non mi sono mai messo fretta riguardo a quanto mi coinvolge così direttamente. mi sento un sacco di mani addosso, e moltissimi spifferi d’aria gelida mi circondano. l’intestino vibra fortissimo e le vertigini accarezzano la testa. i muscoli si contraggono pieni d’acido, mi impongo scatti dolorosi, giocano con i limiti di cui sono schiavi. non ho il completo controllo delle mie facoltà. inseguo le ansie dei miei possibili germogli. questa volta non sarò l’unico a parlare con un muro, cosciente di recitare un ricordo per gli occhi che conoscono solo la proiezione della mia interiorità; ma non sempre è possibile da evocare il ricordo di qualcosa che non si è vissuto. allora dove appoggiare la mia testa? non vi sono al mio sguardo gambe che ne ospiterebbero il suo riposo.

vi chiedo di avere rispetto del mio silenzio, del mio sguardo basso, della mia poca voglia di sorridere guardandovi negli occhi. ci metto un sacco di tempo a capire parecchie cose, e se disturbate il mio silenzio disturbate l’elaborazione di quanto le mie capacità cognitive hanno faticosamente o non accumulato nel vissuto. forse potresti perdonare la mia lentezza mentre ti mostro la quantità di stimoli e distrazioni che in ogni secondo mi invade, e, mentre osservo i tuoi occhi, impazzisce. ogni volta che guardo il tuo sorriso devo fare i conti con mille cose, e mai te ne farò una colpa per questo. forse un giorno capirò davvero. intanto ti mostro quanto so essere ragazzino e cretino, quanto so drogarmi di sbagli e insoddisfazioni.

mi siedo accanto al fiume sotto un altro scorrere dell’acqua. aspetto l’inverno per congelare le mie incapacità. sarò caldo nel mezzo della tempesta.