bambini.

l’aria pesante si appoggia irrimediabilmente sui pensieri. la fatica si affianca al respiro affannoso. ogni mattina di questo passo il risveglio è zavorrato, reso impegnativo, mentre le energie come elettroni impazziti si dimenano senza permettermi di poterle utilizzare. mi appresto in cucina. egli cerca i miei occhi, il fastidio si produce nei miei gesti e la sua cultura si ingrassa ancora delle sue stesse sicurezze, ormai obesa. il mio parere non viene certo chiamato in appello, e sordomuto si fissa allo specchio. pone le giuste ombre per oscurare lo sguardo, cerca invano per gli occhi di nessuno di rendersi profondo e misterioso, piangendo se stesso con l’epicità del solo, nell’universo a senso unico, in quel percepito talmente impersonale da essere completamente circondato da flussi di pensieri irrilevanti, traguardi, desideri, rimasugli di speranze e occhiate rivolte al nulla, sicuri di un domani che non sarà domani. raggiante la confusione si rende protagonista dell’evolversi degli eventi tanto che la nostra stessa percezione da spettatori si scopre zoppa e i nostri passi si smarriscono nel loro ritmo. io stesso divento lettore del crepuscolo del mio creare, di fronte un immenso specchio nella stanza dove conservo tutto quello che ho fatto. di questi oggetti, di queste azioni, ne faccio puntini che ad istinto unisco negli innumerevoli percorsi. qualche ora dopo il risveglio la solita sensazione, che io ne abbia vissuto o che fosse solo un sogno? accomodati e parlami, ne ho bisogno anch’io del tuo assurdo. fecondo di un’idea, ne scopro le possibilità improvvisando una spiegazione che appare pensata, lo sguardo si volge ad una delle tue pupille un attimo prima che si staccasse dalle mie mani. lo sguardo del suo amico si appoggia sul tavolo a cercare in se stesso quei significati che hanno formato la sua personalità, egli giovine che ha bisogno di confronti per confermarsi. la stanza illuminata rende impossibile fruire del buio del cielo, come anime vuote patteggiamo sul campo di battaglia dei nostri istinti, con le nostre ferree idee sull’etica e la correttezza. finestre chiuse giammai il vento ci riporti a quello che siamo. domanda muta. sorriso oscuro. capolavoro teatrale. la mano che tenta di circondare l’avambraccio. ferire o ignorare la genuinità di un bambino. povero, che si scopre solo così spesso, fissa la luna sicuro di un riscatto che la sua anima gli promette forte, perché tutto torna e ne saremo le uniche vittime e gli unici fruitori. le tue stupende parole non riflettono alcune tue forse stupide azioni, ti stai perdendo tuo malgrado tra le domande che fai e le risposte che cerchi. mi pento di non averti accarezzata incapace di un’innocenza di intenti. l’ambito del mio vizio avrebbe scoperto dove sono affrontabili le sue forme sul tuo corpo. sicuro di dove potrebbe dolcemente giacere, sicura la lingua del suo corso di millenarie certezze. abbigliamento privo di equivoci. colori che tendono a niente da dire. le mani che vorrebbero dare sicurezza a quanto agli occhi viene regalato in vesti sceniche ben pensate. le età che non abbiamo potuto vivere, da bambini rinchiusi in punizione e mai usciti dalle loro stanze. senza i poteri dei ribelli da leggenda ci accontentiamo giustamente di quanto ci venga offerto, non essendo noi personaggi di un mito, non vivendo noi nelle pagina di una storia meravigliosa. continueremo a bagnarci i piedi nelle pozzanghere dell’acqua che abbiamo versato. siamo sicuri di quello che ci accomuna, e silentemente non possiamo non farne tesoro. creiamo spazio nella stanza dove da bambini siamo prigionieri e vi portiamo di nascosto questi tesori, quelli che saranno i ricordi di quando ci siamo incontrati. come nelle vacanze estive, che si incontrava la persona perfetta, che oggi o domani dovrà partire tra i “ma vedrai che ci rincontreremo.” una selezione capace degli sguardi da tendere al futuro, perché vorremmo che quei poveri bambini rinchiusi abbiano comunque possibilità di crescere. li facciamo scappare quando possibile dalle finestre, a vivere di quanto dovrebbe e potrebbe essere normalità, sulle basi di chi è sicuro di cosa ci vorrebbe per se stessi, con la sicurezza di chi vive senza leader. quindi non è oggi che si cambierà. come possiamo dirlo che sarà o no domani. cerco di perdermi in una sala cinematografica, per quanto possibile, cerco di rievocare quello che desidero durante le vibrazioni dentro la mia pelle mentre tutto è illuminato solo da quanto ho deciso di proiettare, al silenzio di una città che come le altre è fonte di scapestrati a cui viene dato il diritto di essere mentre sono piene le stanze dell’ovunque di bambini in punizione. potremmo aver scelto di non comunicare perché sicuri di non essere capiti. potremmo aver scelto di far finta di dormire per non essere disturbati. potremmo far finta di essere quello che siamo per sempre, morendo nella stanza accanto a quella del bambino in punizione, lasciandolo orfano delle sue uniche speranze, alla mercé del vuoto, a urlare al nulla, scolpendosi su un’anima già mappa di un vissuto incredibile e pregno. ascoltiamo le sue lacrime finché siamo in tempo, regaliamoci al vento.