centocinquantuno.

come al solito sono le consapevolezze ad uccidere i miei sogni. le dimensioni perfette dove tutte quello che accade ha forte senso di essere e, soprattutto, non è affatto assurdo. la posizione perfetta quando il letto è vuoto e nonostante le coperte non sa come riscaldarsi. la traduzione delle espressioni è intraducibile. lenta la vibrazione si estende all’accanto; ossimoro vissuto, cucciolo che non ha mai potuto mordere giocoso i suoi vicini, mai è riuscito innocentemente ad appoggiarsi su un naso altrui. il traguardo è prefissato in quell’ignoto già definito e più volte analizzato. la fatica di prostro nei confronti del percorso è il corrispettivo di come le abitudini che ci hanno insegnato siano la gabbia che ci permetta di agire secondo conseguenze prestabilite da un procedersi governabile. come marionettisti che lavorano senza poesia, senza coscienza dell’obbiettivo della finzione per cui faticano. senza i colori della sicurezza di una stagione sempre più litigante con i calendari, mentre l’universo corre verso i suoi perché. il silenzio mi regala la visione di una certezza, la percezione di quanto sia tutto a dispendio delle mie energie, della mia pazienza quand’è che i ponti comunicativi si pongono come ostacoli all’esprimersi per la sua realizzazione, all’essere intesi. nessuna tragedia che si racconti da sola. i fatti si possono mescolare solo con la quantità di frottole messe a roteare attorno, accostandosi anche non solo foneticamente alla parola trottole. impazzite cercano di colpire e smuovere violentemente l’intorno senza curarsi della reazione, senza curarsi di cosa contenga l’armadio della stanza che vogliono abitare. e io mi sento prezioso al confronto. perché appunto paragonando la persona ad una stanza sempre ho cercato di non abitarla se non potendo aver rispetto di quanto ci fosse nell’armadio; perché non è mai neanche un affitto, è una semplice concessione di utilizzo di uno spazio in un tipo di rapporto dai/ricevo. mentre colleziono cataloghi di abbigliamento altri collezionano mesi passati in queste stanze. mi vengono affidate le custodie di molti di questi abiti, di più tipi, su più fronti, ma mai ch’avessi potuto passare una notte dove magari dorme qualcuno che neanche sa. e vedo l’inconsapevole rivestito di fortuna che non viene riconosciuta, meno bendata di quanto non sia il suo beneficiario, e si ferisce il lato più giovane di me, indifeso e sincero, a cui così poco basterebbe rispetto a tutto quello che ha fatto correndo qua e là. e se non l’hai visto correre o non te ne ha parlato tutto sta al suo essere gentile, mai ti ha portato in questo il peso del suo amare, con l’eleganza di un fenicottero che si abbevera al tramonto. la fase della ricerca dell’equilibrio. un tentativo di instabilità vuole emulare il sorriso di chi nasconde fantasmi enormi. le passeggiate attraverso il nulla mentre si attende che la porta della conclusione prenda forma finalmente agli occhi. dopo ogni giorno è domani, un domani che si concretizza non sempre allo stesso battito d’orologio, perché posso essere cresciuto anche un giorno che non sia stato il mio compleanno. solo in pochi hanno incontrato i miei occhi. dei mie tesori non so che farmene, non avendo neanche certezza che questi valgano qualcosa. mi sento sprecato giorno dopo giorno a guardare le ore che passano e le persone che lanciano le risorse fuori dalla finestra. quante volte ho visto uomini disperati recitare che questo non era assolutamente vicino a quanto sognassero da piccini. non voglio avere i ricordi annebbiati da quanto non sia riuscito a fare. voglio continuare a schiantarmi contro i muri che mi hanno tatuato la pelle, occasioni in cui non ho dovuto prendere appuntamenti e pagare. sempre a cercare l’evocazione suprema dell’empatia pura, del richiamo allo spirito che sa accomunarci contro e lontano ogni derivazione culturale del cazzo. il principio della caduta verso l’abisso che ci ha generati. non svegliatemi finché non sia ora. le distrazioni dei convenevoli sono coltellate tra le costole. come anche la mia immaginazione sa ferirmi. e mi fa vedere anche tutto quanto io vorrei che non ti accadesse, non mi accadesse. il collare che mi impone gli sforzi. le camminate, le pedalate che ho fatto per cancellare i miei desideri. non esiste niente di più bello. non esiste forma più adatta. non esiste capolavoro più sensato al mio io. non esiste forma più consona. non esiste sorriso più desiderato. non esiste cammino più confortante. non esiste altrove quell’attimo eterno a riempire le vene di quanto gli necessiti al giusto ritmo. non esiste modo migliore di svegliarsi, colmi. non esiste soddisfazione più ampia. non esiste colore più adatto. non esiste maschera più appropriata ai lineamenti. non esiste trasparenza più sincera. non esiste tonalità più afrodisiaca. non esiste sguardo più interessante. non esiste ragione più trascinante. non esiste amarezza più vissuta. non esiste un corpo così magnetico. non esiste altra bellezza più capace. e allo spazio di un niente, guardandosi poco dietro le spalle, lo sguardo che si affloscia nelle ombre e si ricorda che ad ogni modo, adesso, semplicemente non esiste.