se n’é andato il vento che mi gettava continuamente sabbia nei capelli, ora si gode di tranquillità e sole quanto basta. passano gli amici, intanto, a coppie; sempre di più, uni dopo altri. da lontano mi urli che di amici non ne hai più, ma comunque ti vedo in coppia, mia cara. concentrati sul tuo punto di vista e guardami. il mio giardino sembra verde, per questo lo coloro ogni notte mentre le onde danno ritmo. amica, non ci vediamo da mesi, e neanche ci sentiamo più. mi sembra una cosa generale sai, per non parlare di come la stia vivendo io. ripeto, ti vedo in coppia; mentre io ho solo il mio giardino, che tanto curo. è bello che ve ne andiate sorridendomi, io ricambio. lo sapevo che saresti tornata indietro, lui è rimasto a sdraiarsi sui sassoni, lo invidiamo. mi chiedi di come vadano gli altri, sai, è tanto ormai che non ci sentiamo; mi verrebbe da dire che ormai non li conosco. poi li vedo in giro ogni tanto, tra loro si sentono, certo. io, non so. gli ultimi che ho chiamato dal mio giardino hanno fatto finta di non sentire, oppure hanno girato lungo; non me la prendo più di tanto. mi sento come fossi lo stereotipo di uno squalo, che gira intorno. io giro e giro intorno, per educazione senza intercedere nella circonferenza a protezione dell’intimità altrui; ma poi fughe, sparizioni, e le colpe all’ipotetico squalo aggressivo. c’hamm’a fa? sorridiamo ora, che già sappiamo che per altri due mesi, minimo, non ci vediamo. ciao. io sono tordo, e ci ricasco, e ci ripenso. ne ho appena parlato con lei, così, mo che se n’é andata, ci ripenso. eh, non è la prima volta che scappi quando arrivo, che sgarbo. non sei la prima persona che scappa quand’arrivo, già. devo riguardarmi nelle tasche allora, vediamo. mah, in questi momenti non ho fame ma mangio, lo sappiamo tutti. ti ricordi di quel sasso dove appendevo le storielle al suo interno? ho deciso che per un pò non ci entro, non che io intenda che le mie fantasie siano diventate il tuo punto di vista, non che io lo sospetti. ho solo deciso che per un pò dovrei tornare al velo di realtà che c’è di fronte al mio giardino verde, che già verso il tramonto, consiglia il lavoro notturno, che io, sia mai, comunque faccio, non mi smentisco. sto sempre affacciato, quindi vedo quello che succede, tanto il posto è piccolo, lo sappiamo che di qua passano tutti. quando parli con altri, e ti atteggi per farti notare, io non disturbo, mentre lucido il mio cilindro della domenica. quando scappi non ti inseguo, e sempre vedo la tua pupilla che si avvicina all’estremo angolo utile a non volgere lo sguardo, <scusa ma non ti ho visto>. se sei in silenzio e cammini in linea retta io non urlo, non disturbo. se ti va di vedermi, è qui che sono, lo sappiamo tutti, e io non rifiuto, sempre accolgo. se seduci il mio olfatto e faccio qualche passo, e quanti nel mondo onirico, e tu allunghi il tuo, e si crea l’abisso, io non continuo, e, forse offeso, torno indietro. se mi sento dire <e si forse non so se allora magari però> facciamo che <tanto ci vediamo si dai che poi>. preferisco la crudeltà del mio intuito che non il beffardo muoversi di fronte, a illudere, boia. se dovessi offendere io non spargerei feci, no. se qualcuno le sparge nel mio giardino dovresti dirmelo. eheh, comoda la sdraio. se sei tu che ogni giorno cerchi, dovresti dirmelo, non lo sappiamo tutti, sono timido. se abbiamo un amico in comune, e mi parli solo di questo, non abbiamo molto da dirci. se ti affacci e mi guardi negl’occhi, ti sorriderò, sempre; non porto rancori, sono gentile solo quando mi pare. se ti nascondi dietro i miei cespugli, siamo entrambi, si, due coglioni; io primo, però. se vivo in un altro mondo e c’ho le visioni, tirami uno schiaffo, dai; me lo merito, lo sappiamo tutti. eheh, comodo drogarsi. se sono grasso è perchè sono annoiato, deal? se non ti piace il mio linguaggio si, sono confuso, sono un ragazzo di strada, e tu ti prendi gioco di me. se non ho seguito un tuo consiglio, mica non ti voglio più bene, avrò avuto i miei motivi, eh, poi non puoi dire che non te l’abbia detto. forse ci confondiamo con il signor mauro kebler, mio vicino di casa. cosa? non capisci? non spiego sempre tutto, lo sappiamo tutti, basta. ora rifiato, mi calmo. non ripenso a quanto ho detto, no; mi sono sfogato, se riascoltassi quello che ho detto fin’ora probabilmente rabbrividerei, giusto. ok. <sai com’é se accumulo troppo poi>, beh. dovresti spiegarmi, un giorno, quando vuoi tu, senza che te lo chieda, perchè scappare, o nascondersi, quando arrivo? così, con comodo, senza polemica. dai. cos’é? dai, su. non è il problema di quanto <cioè io pensavo che allora non ero sicuro quindi secondo me credevo>, è solo sapere il perchè; una persona fa una cosa attraverso un ragionamento, uhm, è il ragionamento che mi interessa, nun s’era capito?
chi mi conosce lo sa. chi mi conosce? uhm.
sono io che dovrei dirmi qualcosa. ma me la sono già detta, sai quante volte. escher insegna che non bisogna fidarsi della mente umana.
mi sveglio sudato, normale. i capelli appiccicati al cuscino. l’intestino, ancora, reagisce male. mi siedo nella stanza senza finestre, che mi permette il completo buio. ascolto il silenzio di quella stanza, puro; e mi rendo conto dell’inquinamento, voluto e non, che mi impone qualche rumore immaginato, come una memoria uditiva disperata, trattata male. è il discorso di qualche giorno fa, affrontato con i gomiti sulle ginocchia. ogni singolo capello era diviso dall’altro, allora. non mi ero immaginato il peggio, ma il sapore dell’ultimo dessert presagiva marciume. s’era lasciato il libro sul muretto che da sul canale. il cane correva dalla parte opposta. io, al solito, sembravo disorientato. il suono era questo. nessuno mi può giudicare, nemmeno tu. la tachicardia è tipica quando ascolto la tua immagine. corro a cerchio ed il mezzo è fertile ma l’albero tarda a presenziare. spero nel gioco che non riuscii a fare da piccolo. il bottone della luce era dalla parte opposta a noi. cercando l’abbraccio si sono incontrate le mani opposte in un perfetto incastro. benedimmo le maledizioni, nel gioire del puro. voglia ce n’era, ma le sedie ballavano e nessuno stava realmente comodo. ad ogni discorso ci distraevamo ebeti. forse anche tu facevi un sogno simile. dov’è che ci siamo visti la prima volta? ah si. footing scalzi all’ora del tramonto. non si può più da quando il mare avanzando ci ha regalato quei grossi sassi. i tedeschi non hanno capacità alimentari, specialmente all’est. ti ricordi? le grandi piazze sovietiche? lo stampo finto-american? le senti le campane? non ti danno fastidio? corre il giovine, cerca lo specchio. non ho mai mentito se non per vantarmi di risultati a cui nessuno era interessato. la lunghezza del pene? no no. la forza che avevo quando dormivo due ore a notte l’ho abbandonata, ci credevo seriamente. almeno sei stato corretto, mi piacerebbe dirtelo. ci guardiamo negli occhi e non ci salutiamo. neanche fosse passato chissà quanto tempo. non disturbarmi mentre disegno.
ti ricordi la scena in cui donnie chiede alla madre com’è avere un figlio come lui? esatto, proprio quel tipo di abbraccio.