legno.

assuefatto al bisogno di avere qualcosa da fare l’istinto mi consiglia di diminuire le frequentazioni di quei posti che permettono alla mia stanchezza di prendere carica dalla noia. devo sentirmi valorizzato e devo farlo lontano da intelligenze che agiscono per fini contrari alle colonne delle mie motivazioni, devo fare uno sforzo di sincerità, che non si dimostra tale, in questo periodo in cui una risposta acquisisce automaticamente la forza di un’idea indipendente. speriamo che queste grosse nuvole grigie portino acqua, e rinnovino il mio immaginario che talvolta esprime ossessive ridondanze. conto i passi degli altri, osservo il cielo cambiare colore incapace di concludere nulla e, diversamente dal mio solito, non riesco nemmeno a provarci. in un contesto estraneo alla mia immaginazione remo a braccia verso una concezione di spazio che non ho mai avuto la fortuna di abitare. diminuiscono i numeri di sorrisi e allo stesso modo non permangono quelli veri. quello che sto cercando è anche un luogo di riposo dagli sguardi, dalle idee altrui, dal dover continuamente rendere conto a qualcuno, a qualche concezione già discussa da qualcuno che non conosco, spesso totalmente isolato da un tipo di realtà simile a quella che vivo. il quartiere si riempie sempre più spesso di lamentele. limpida, la mia confusione mi regala momenti di certezza, a sorpresa delle mie premonizioni. rimuovo i tentativi di persuadere lo sconosciuto, mi concentro sulla totale astrazione dei miei desideri e inseguo il ricordo di visioni che non ho avuto il coraggio di scrivere. fisso l’unica via d’uscita e forsennatamente con lo sguardo inseguo l’impraticabile alternativa. la mia totale insicurezza mi spinge a costruire percorsi logicamente lontani dal senso delle altre costruzioni. con le dovute collisioni che ne derivano, è la forza della quale vive il mio umore, inserito in un contesto che non può appartenermi.