mare, dirigere, sussultare.

qual più soave immagine; quel di quelle onde interpretate inutilmente, ma sognando.

il profumo che capii toccandole il collo con labbra giovini e quasi vergini non può essere riassunto qui, come fosse pane ed aqua, cosa che quelle vibrazioni che provo ora sono? l’inconscio riportarmi in quel momento di contatto con ella( eterno fiore eterno sbocciante)? c’è troppa luce, deturpa il mio meglio esprimere. così vicina e così lontana, senza troppe speranze, allorché sussulto, ci fosse il mare sarebbe tutto più facile, per me, che sono il primo problema. un vuoto, a causa di quell’apparente autismo che tuttaltro é. è me ne sto in mutandae ed ascolto urlare un pover uomo, che vuol dirme cose che già conosco, avendogliele io consigliate. questa immancabile sofferenza ora riabilitata da un flusso irriconoscibile, è d’uopo che tu ti chieda se capisci o meno, tento di farti immaginariamente avvicinare a quanto provo, a frammenti e senza ulteriori ausili logici. che bieco viver il nostro: io t’amo.

la prima più irrispondibile questione è se stai ascoltando le mie parole, saper se tu ebbi possibilità di leggermi, mia cara, perchè cara lo dico solo a te, mai comunque ti chiamerei amore, come tutti fanno. ho permanente l’immagine dei tuoi occhi sui miei, instancabile comunicar d’istinti; desidero le tue mani ed il tuo odore e la tua bocca, ora nient’altro. il mio perire sempre uguale in questo, essendo io mai capace di dirti nulla direttamente, mia cara. quante lacrime ti farei gustare, sincere come non lo sono i miei riflessi razionali quando ho occasione di incontrarti; è purtroppo lo devo fare in-casa-tua dove c’è sempre troppa affluenza di persone, in quella città che detesto, così vicina quanto lontana. in quella città che tanti definiscono puttana; non io a farlo.

quand’è che ti incontrerò in riva al mare? dove le mie passioni potranno sopraffàrre la mia, in questi momenti, inutile ragione.

ascolto più volte il rumore di quello sgabello che so dov’è; quanto vorrei ci potessi venir anche tu in quella stanza, ad acoltarmi urlare tutto quello che vorresti sentirti dire, tutto quello che ti vorrei dire. sono stanco e deluso da me stesso, continuerò ad amarti così: non corrisposto ed amareggiato. d’altronde amaro ed amore sono due parole similissime, e non voglio certo giustificarmi; t’amo, cos’altro aggiungere al già inutile decoro?