non ho punti di riferimento nella mia città. capita spesso che debba decidere dove andare e niente mi si consiglia come meta. ho insistito per molti anni su vari luoghi, ora però non ho più motivazioni. mi sposto quasi esclusivamente perché c’é da fare, all’antitesi di quand’ero finto giovine. sempre, comunque, c’è spesso esigenza di muoversi, perchè la possibilità d’incontrare un desiderio m’appare, all’immaginazione, forte ancora molte volte. anche se il cerchio si restringe, e passare per caso è spesso patetico, questo mi sembra. c’è silenzio oggi, per fortuna. la luna lascia un velo illuminato che mi assiste. sto minuzioso a sistemare i granelli di sabbia uno accanto all’altro, nel mio preciso disegno dove mi riconosco e mi scopro, tra spaventi e sighiozzi a sussulto, in silenzio. mentre appoggio i pezzi penso a chi mi cerca ogni giorno, e non so riconoscere. la mia speranza è riposta ugualmente agli ultimi tempi, dovresti immaginarlo. ma, comunque, non sento mai bussare alla mia porta, e mi scoraggio. oggi sono sgarbato, non dovrei parlare di te..il livello di fraintendimento potrebbe essere pericolosamente alto. un brivido di freddo mi sfiora. mi accorgo che la mia indisposizione si è un pò riflessa sulle persone che incontro ora, mentre lavoro. il mio sgarbo è tangibile; mi sembra doveroso esprimere le ultime cose che voglio dire con immagini e/o parole altrui.

non riesco praticamente mai  a seguire il percorso rosso, lo schema è chiaro:

mi piacerebbe delle volte non gestire quello che sento con la mente, ma mi è seriamente difficile non farlo. lo sforzo che talvolta ci metto a non imbrunire lo sguardo mi costa tantissimo, per, diciamo, apparire rilassato; anche se sempre più facilmente, lo sono davvero rilassato, almeno questo. fatto sta che le sensazioni che avverto mi portano a pensarla così:

e il rischio di fare stalking si traduce in un ulteriore blocco.

ma non dovrei fare così, non dovrei sporgermi così tanto dal balcone, come la mamma da bambino mi raccomandava. dovrei smetterla.

c’è un vitreo blocco fisico-emotivo tra le nostre due persone, mi sembra. forse potremmo fare uno sforzo comune per aggirarlo e non romperlo bruscamente; forse l’abbiamo già fatto, e, magari, erroneamente, abbiamo invertito le posizioni. dovremmo stare sullo stesso lato e fare del blocco una finestra. la mia timidezza è un limite. non saprei dire se tu sia timida o no, anche se istintivamente direi di si.

poi mi dico che sono stanco e vorrei solo distendermi per riposare ed ecco che do un’occhiata alle affascinanti visioni di un (maledetto) frick, e non posso non citarlo: <Nel film di Woody Allen Midnight in Paris, il personaggio di Ernest Hemingway dice: “La vigliaccheria nasce sempre dall’incapacità di amare, o di amare nel modo giusto”. Visti i tuoi presagi astrali, Toro, mi sembra un’osservazione pertinente. Ho il sospetto che nelle prossime settimane dovrai attingere alla tua riserva di coraggio, non per affrontare un pericolo fisico, ma per arrivare al fondo di enigmi che potrai esplorare solo se avrai più coraggio di quanto ne hai avuto finora. E il modo migliore per trovarlo è amare come una divinità.>

allora il mio intuito non si sbagliava del tutto.

ho l’impressione fino a questo momento, attraverso la mia lentezza, di aver composto i miei intenti in questo modo:

piuttosto che aver preso direttamente un ramo intero. ho sempre proceduto così. non me ne lamento, rimane un bel risultato, se le cose non dovessero evolvere. sorrido, e mi ricordo che la mia lentezza non mi ha mai impedito di arrivare dove volessi, magari ha solo aumentato il bagaglio dei rimorsi. ma se è così che sono, è così che deve andare.

ma ora parlami di te

l’energie cognitive oggi sono esaurite, se incappassi in descrizioni diventerei vistosamente confuso e senza doti conclusive. ti immagino però facilmente alla ricerca di mie notizie, in quel che soprattutto ti riguarda. questo mi fa sorridere, di quei sorrisi rilassati e lunghi, terapeutici. le sensazioni provocate da quanto abbiamo condiviso diventano sempre più piacevoli. io, pezzo di legno, tenterò di smussare i mie angoli, poco garbati talvolta, quindi per questo coperti. ieri avrei dovuto esprimermi, ma alcuni ostacoli aiutarono a farmi utilizzare il tempo in altri modi, cosi persi la lucidità richiesta ed oggi, non è proprio il caso.

ragionando mi scopro ragazzino dove meno vorrei esserlo; ma è una situazione necessaria dato il mio scarso impegno negli anni nelle situazioni di questo tipo. invece, arrivati nella stanza degli specchi, dove, ad ogni specchio, v’è riflesso qualcun’altro, lì mi sento molto maturo, a mio agio; anche se con un certo sapore amaro, solito sottofondo. un’incredibile quantità di persone conosciute, come non ne vedevo da mesi, anche se quanto ricerco adesso è altro. scatta la mezzanotte e si sparano i fuochi, alcuni bambini già a letto, saggi.

sono sceso dalla carrozza e i torcioni sono impazziti nell’intestino. la sensazione di un momento cestinato, cestinato per incompetenza. anche se non credo sia questione d’incompetenza. sembra timidezza protettiva, visto l’ancora odierna esposizione di quei minuscoli pori feriti, minuscoli ma completamente indifesi.

fruizione di parole, fiume che scorre forte ma non travolge, al creare della sua prima pozza ne riposiamo e ci conosciamo. dire se volessimo remare verso la prima rapida non oso. c’è il sole che alimenta il bisogno di rilassamento. la cascata d’acqua calda è quanto dovremmo condividere, le rapide le lascerei a chi ci crede.

i miei piedi gelati. il mio manto luminoso. uno scatto da solo oggi. vento.

passeggiate lunghe quando l’impiego del tempo rischia uno sviluppo infruttuoso, che porterebbe al rammarico. piacerebbe avere la leggerezza d’animo e la possibilità di tempo di muoversi a passi ritti, fiato corto e sguardo basso, e sperare d’esser disturbato dalla presenza cercata. l’ozio, in questa fase, non è condiviso come impegno, come -just chillin’-. gli impegni corrispondono un’impalcatura, che mi circonda completamente. la costruzione dei miei pensieri è appaltata in malo modo, frettolosamente sviluppata senza alcuna etica logica. le scelte che pongo al mio giudizio non sono del tutto spontanee, nonostante sia quanto cerco. la mia ricerca sembra ridursi alla mia forma, non più alla virtualità delle costruzioni vicine. siamo insiemi artificiali, le quali azioni sono elaborati mentali d’istinti che difficilmente possiamo avere presunzione di chiamare, ancora, naturali. vibrazioni forti scuotono la struttura, sempre tesa e fragile, sempre pronta a crepature definitive, massive. vomito scarti di macerie continuamente, non sembra piacevole al mio fisico; questo riporta nuovi dubbi sulla mia presunta naturalità. annuso l’aria e le goccioline di nebbia che mi avvolgono non sono acqua, non è nebbia. l’odore mi riporta a qualcosa distante dai miei ricordi da piccino quando rotolavo nell’erba o sulla sabbia e l’acqua aveva un sapore definito e riconoscibile. un pò mi sfugge il passaggio da questi ricordi agli operai microscopici che mi punzecchiano la pelle adesso. tendo a considerare comunque il sogno che ho fatto di recente, che se potessi tornare in quell’acqua che ben ricordo questa avrebbe un sapore diverso, ed una terribile pellicola oleosa in superficie. riconsiderando la mia statuaria stabilità adesso mi viene triste il pensiero di non poterti cercare con lo sguardo se non dove sono obbligati i miei occhi. qualora dovessi passare non potrei comunque sfiorarti e non ci sono energie per esclamare il tuo nome, a meno che non sia tu a notarmi, ad avvicinarti; ma questo, ahinoi, non è successo molte volte. ma anche se dovesse succedere non potrei camminare accanto a te, non potrei sfiorarti, non potrei osservare i tuoi movimenti nelle diverse situazioni. rimango in silenzio e riduco gli sbattiti delle palpebre. le punte delle mani sono congelate, impossibilitate al movimento e principale parte sensibile al freddo. mi rimane il sonno, che ultimamente è l’unica dimensione dove ti incontro e dove m’è anche capitato di baciarti senza inciampare prima, senza dire la cosa sbagliata, senza -potevo fare così-. ma ahimè, la preoccupazione più grande, adesso, è uscire da quest’impalcatura.

vedo persone muoversi continuamente. siamo tutti nello stesso luogo, chi per un motivo chi per l’altro. mi chiedo per quale ragione continuino a muoversi da un punto all’altro di questo posto, senza apparente scopo. rimango fermo ancora un attimo e continuo ad osservare il solito moto, avanti e indietro. non comprendo. quanto di più ridicolo noto comunque non è questo: alcune danze e rituali si mostrano necessariamente in modo molto patetico, mentre bevono sieri illudenti, sorridono e si abbracciano. faccio finta di non avere motivo di condividere la mia presenza con queste persone e rammento il motivo del mio stallo nella stessa posizione, non riesco a muovermi, non ne ho motivo. la prossima volta non chiedermi perché non sorrido, sto solo pensando. in un momento come questo è l’intestino che reagisce più velocemente del resto, mi sforzo per evitare il trangugio di composizioni dolciastre. vorrei un unico suono profuso esclusivamente all’altezza delle orecchie, un suono stanco e spiazzante, bislungo e profondo; così da stancare ed impegnare le menti presenti, da farle decidere cosa veramente desiderano in quell’istante di finzione scenica, costruita da una mentalità senza energia evolutiva, chiavica essenza di spreco di forze, culturale omissione di rapporto tra senso di causa nell’effetto e gestione di quest’ultimo, il tutto è demoralizzante. se dovessi avvicinarmi a te in quel momento, capirai, sarebbe difficile mantenere la concentrazione e saperti sorridere nel modo che vorrei, e dirti cose interessanti, e coltivare la voglia, che potresti avere, di chiamarmi domani. la mia timidezza incontra la mia ignoranza sull’argomento, se ne crea una situazione spiacevole, in cui la sola cosa che sono capace di fare è guardarti da lontano, e sperare che sia oggi tu ad avere spirito d’iniziativa. non c’è pressione; solo esigenza d’utilizzare il tempo come mi è raramente capitato di passare, perché ho sempre fatto dell’altro. il mio punto di vista si riduce all’interno di una chitarra, tutto spigoloso e buio, e le corde sono il modo in cui misuro la realtà. concedimi errori di prospettiva, che già non ero certo ferrato in materia. ora sono tranquillo, ed è in una situazione come questa in cui dovremmo parlare, in un grande foyer e la sala cinematografica buia e vuota; qui di sicuro mi sento a mio agio. la cosa che mi interessa di più, seriamente, è dove ti sentiresti tu a tuo completo agio, perché, perdonami, io ancora non sono completamente sicuro d’averlo ben intuito. poi, quanto i tuoi amici pensano quando mi sorridono, è solo curiosità la mia. quando sento che una persona possa essere simile a me inizio a farmi certe domande, mi è spontaneo.  per fortuna non t’ho mai vista sorridere con sguardo assente e scuotendo ripetutamente la testa a destra e sinistra, mi fa pensare bene di te.

ora siederò ancora qui per un pò, a pensare quanto mi vergogno a scrivere.

 

le solite cose mi raccolgono a casa. giornate passate ad inseguire l’esca attaccata ad una canna assicurata al proprio collo. che noia che sono. il femore e la tibia palleggiano con quanto hanno in mezzo, lo sguardo veloce e meschino osserva solo di striscio. la puzza che emano mi nausea e quanto migliorebbe la situazione viene in mente sempre troppo tardi. non approfondisco niente e continuo ad impulsi lampanti, scordinati e disorientanti. la confusione non esiste, è un momento di pura estetica d’apparenza. lei, sconsolata, si avvicina e mi chiama verso la sua guancia: cara amica affetta da noia, i suoi compagni aggravano il suo disagio tra schiaffoni e urla. un gioco fastidioso e ridicolo, al quale reagisco sorridendo come l’ebete che accanto mi urta ad ogni passo. potrebbe quasi venirmi imbarazzo in viso mentre vengo murato da  questo teatrino de borgata. in quel momento evito alcuni sguardi, anche per proteggere la loro invidiata esclusione dallo spettacolo. potrebbe sembrare vigliacco e maleducato ma all’istinto era la motivazione ad agire per me. so ragazzi e volemose bene. e in più persone me lo dite:”semo sempre qua”, sottolineando l’apatia politica del nostro territorio. vabbè. apparte le mie indirette scuse sugli atteggiamenti di stasera c’è una cosa che mi interessa più di tutte: conoscere il tuo punto di vista. sono bravo a farmi notare senza agire, con poche palle mi piacerebbe solo essere sorpreso dal lato destro con un sorriso, ed avere quel modo elegante per distaccarmi dal branco di urlatori spingenti. sono stato fortunato stasera ma me ne rendo conto adesso, mentre mi racconto i soliti errori che faccio da sempre. quindi, appunto, proprio non riesco ad immaginarmi cos’hai pensato; quanto m’interessa è indefinibile. se avessi dei pregiudizi mi piacerebbe smontarli brillantemente, ma non troppo. vorrei mostrarti quel lato esclusivamente mio di quando sono qui seduto a fare i conti in tasca, e scoprire quei numerosi buchi che m’ero dimenticato d’avere, perché lo sapevo bene che c’erano. e domani che fai? sembra prenderti in giro chiedertelo di nuovo. ma in fondo..cosa vorrei? sorrido come ubriaco solo sulla veranda che non ho. vorrei ancora vederti sorridere mentre mi racconti qualcosa, mentre ti osservi i piedi o guardi di fronte con sguardo serio ed aperto. mi sembrerebbe sgarbato bussare alla porta domani. che noia che sono. sono giovane, sai com’é..vorrei il mondo e non mi rendo conto quasi di dove vivo. non che siano in molti a farlo, ma io, di altri, non sempre m’interesso. sono stato sgarbato, le possibili giustificazioni mi sembrano sempre meno concrete. mi viene in mente che in quel momento non ero sincero, è stato forse meglio non parlare. stavo recitando in un gruppo di pessimi attori, quindi penso che la scarsa qualità della recita fosse palpabile. vedi? me ne accorgo solo ora. che cane che sono. nel mio ridico allora è giusto che mi senta così stasera, mentre di dormire sembra non ci sia intenzione, al canto degli uccellini, più saggi di me. qualcosa dovrei fare, che non sia miagolare fuori dall’uscio, che non sia cercare di mordere i resti di una preda altrui come una iena. ero e sono poco lucido stasera. dovrei sprecare più carta. compierò allora l’ennesimo gesto incurante, sperando di svegliarmi più tardi e pensare ad altro. ma chi voglio prendere in giro. ho un calendario e dovrei seguire quello. ci sono infinite cose che mi rimando da mesi. la prossima volta mi avvicinerò subito a te, altrimenti lo so che verrò inghiottito da qualcosa. non fosse mai successo. che noia che sono.

giallo II.

la barca si rompe e rimango sull’isola di fronte al mio scoglio. a nuoto la distanza è molta ma se ne avessi voglia potrei tranquillamente attraversarla. non mi va, volevo fare un giro in barca. se volessi tornare nella mia stanza dovrei bagnarmi, ed oggi, proprio non mi va. inizio a fare dei disegni con i sassi, mi richiama amarezza come se li leccassi. il posto giusto in cui vorrei essere è proprio di fronte al mio sguardo. mi rendo però conto che non è perchè non ho voglia di bagnarmi che non ci vado, ho provato a mentirmi; quello non è il mio sasso e non sono venuto qui a caso. quel posto è dove ci sei tu, tutto di vetro e ben illuminato. io ti vedo dentro e tu mi vedresti fuori se mi ci avvicinassi ma la mia timidezza non me lo permette. ho provato a passare strisciando e “per fortuna” tu non mi hai visto. mi è bastata una buona scusa per ripetere il percorso, questa volta correndo. testa dritta verso il buio ed al massimo della mia possibile velocità. per essere notato ma per non essere fermato, quasi a mostrare ch’avessi altro da fare, nella mia stupida ingenuità, proprio nel momento in cui ci sarebbe maggiore esigenza ad essere fermato e considerato. forse mi hai visto, io non troppo dopo mi sono fermato. visto che non avevo niente da dirti e non c’era motivo ch’io passassi di lì, ho deciso che questo fosse il modo migliore di farti fare quanto mi era più a cuore. ovvero che tu mi pensassi. nella speranza che lo stessi facendo già prima.