stendo il colore fuori dalla mia porta, metto il benvenuto a chi sa leggere il nulla. accarezzi l’estremità di un mio dito, commentando in silenzio le mie abitudini. esclamo quella che sarebbe la mia intenzione di sentire il tuo parere con un monosillabo di giustificazione convenzionale; ottenebro le mie motivazioni dal continuare l’interrotto discorso senza poter mascherare il tentativo di riproporre la lucidità d’espressione ormai ferita, distratta. contengo a sforzo il singhiozzo dell’animo di certi momenti dello starti accanto. la fatica che sento è la presenza delle mie convinzioni nelle mie idee, limite con il quale il conflitto è molto alto. di fianco a me sento quel qualcuno che mi giudica, la pressione che mi infliggo, lo spingere di quello che vorrei essere. quando le due realtà si guardano negl’occhi quella arrogante non ci mette molto a morire o a voltare la sua attenzione altrove, sorridendo, non facendo i conti con i le pluralità insignite anche nel suo essere. l’ammissione alla realizzazione di tali limiti è feroce nei confronti del comune essere di tutte quelle sfumature, l’arrogante cerca di potenziare le sue motivazioni, ma in faccia alla realtà sarà sempre per terra a rialzarsi a fatica, questo mi sembra. com’è che facile attaccare i deboli non è sempre semplice riconoscere poco vigore in chi sempre cerca d’apparire qualcos’altro da cosa non accetta di essere, e siamo sempre lì. facciamo presto a congratularci con i nostri successi. basta abbassare gli occhi e le scarpe mi ricordano gli errori che ho fatto.