aculei.

mi guardo attorno e sempre non posso riporre quel che vorrei accadesse alle abitudini altrui a cui poco riesco ad appartenere. non si venga a pensare che sia nei miei intenti intaccare volutamente tali ritmi, mi rifaccio all’eventuale germoglio spuntato naturalmente negli animi amici, vicini. i tentativi d’illudermi sono via via più sterili, dovutamente alla mia sviluppata intolleranza per le delusioni sviluppate sul nulla, per l’impossibile realizzazione di fantasie basate su visioni evocate dagli istinti frustrati e stipati dalla nostra cultura. è faticoso dover fare i conti con la propria interiorità così spesso. provo stanchezza a non poter soffocare quel continuo istinto ad entrare nell’altrui psicologia ed intuirne i pensieri; irrimediabilmente, in quelle a cui particolarmente tengo ne vado leggermente fuoristrada, smarrendo il vero motivo della mia presenza quando pensoso mi aggiro nelle possibilità d’incontro. siamo sicuri di aver ormai tratto già molto spesso di queste conclusioni, sarebbe opportuno dare una significativa svolta alle proprie noie. non presterò giudizi al possibile evolversi delle mie paranoie, mi limiterò ad osservare dove appoggia la coda del tuo sguardo quando possibile, quando entrambi ci siamo resi conto di essere vicini. è intenzione concreta quello di lasciarti un segno indelebile nelle profondità dei tuoi pensieri. non vorrò mai abbandonare la possibilità che un giorno evolveremmo abbracci stretti e lunghi. non so contare quante sono le volte in cui mi sono sbagliato, negli anni. ma credo di poter riconoscere quella luce nei tuoi occhi quando mi sorridi dove non l’ho mai incontrata. accarezzo le mie ali e mi muovo nella bufera, cerco di contrastare l’impossibile forza del vento e rimango in equilibrio a stenti. posso solo permettermi di non concentrarmi concretamente sulle direzioni che prenderei; allungo un braccio e cerco un appiglio, e trovare un appiglio mi rendo conto sia l’unico obbiettivo del mio agire. non alcun interesse a quello che sia il problema che potevo evitare in cui mi sono tuffato, e neanche la sua soluzione, quello che mi interessa oggi è quanto mi possa permettere di sostenere lo stress della ricerca di una precisa soluzione a quel ingombrante problema che intacca i capillari dei polmoni. trovo uno specchio e non mi sorprendo a vedermi confuso. scendo dalla scala delle mie fantasie e mi siedo per terra; la testa pulsa forte e la mia pazienza, come poche volte, mi regala segni di cedimento. “non hai ancora smesso di sognare” mi dice la rappresentazione della mia razionalità. vedo e sento sorridere le mie motivazioni accerchiate da un’esibizione di gutturale stupidità e richiamo all’insensatezza di essere un umano. le intercapedini si allagano, nulla di preoccupante. sento vibrare sotto i piedi, oggi non capisco perché il mio sguardo sia congelatamente preoccupato. non mi sento in forma, e questo sembra voglia dire che non è ancora il momento adatto ad alzarsi. il letto respinge le mie ossa bloccate. il cervello non capisce, la sensazione è quella di ingranaggi inceppati. i rumori erano secchi e chiarissimi, più di sempre, percepiti a mille. mi sono svegliato stanco, non sarò certo capace di essere carino. tutto indolenzito mi aggiro insicuro e la gola rimugina l’opacità sviluppata in una notte aspra. certe giornate iniziano strane. mi accorgo che non sono solo quindi avanzo qualche pensiero ad alta voce, ringhio giudizi. ogni sorso d’acqua che faccio non basta. fuori l’aria è tersa e densa. sta per posarsi la base di qualcosa che presto succederà. il mio sguardo a testa bassa non sembra infondere sicurezza a chi potrebbe fidarsi di me; si vede che qualcosa mi sta turbando in modo insolito. i muscoli sono indolenziti e non sembra che abbiano riposato le ore che è supposto che io sia stato nel letto, non posso certo esserne sicuro. la mia percezione non è certo in grado di dare forma vera al procedere delle cose. mi limito a fissare il vuoto convinto di aver vissuto qualcosa che non ho capito, che forse ho solo distrattamente percepito. sarà il vento della finta primavera.

metto l’ultimo brano. striscio la faccia sulla ghiaia e comprendo che quanto sento oggi non è correlabile al mio intero vissuto. non che questo suoni tragico ma sento delle forti stranezze nel mio cercarmi oggi. ho messo qualcosa che conosco bene, per ritornare a capirmi. le strade la scorsa notte erano quasi completamente vuote, chissà dove sono realmente. nuoto con fatica nell’acqua caldissima e poco invitante. conosco le ragioni che mi hanno portato ad aspettare qualche secondo in più; conosco la fiducia che ho nel mio intuito. ho ben atteso il momento di dare manforte alle mie presunte qualità. con il martello percuoto le impalcature che mi reggeranno nelle prossime ore mentre le lacrime scendendo mi ricordano le attese che mi sta riservando il presente su l’impossibilità di predire minimamente il futuro. vedo poche cose evolversi, vedo poco muoversi. oggi è tristezza quella che muove le cose, gli alberi e i miei capelli. diamo spazio alle incomprensioni senza avere coscienza di quanto veramente ci spaventa. non abbiamo ancora provato niente e ne abbiamo timore. stiamo proteggendo noi stessi nascondendo un sacco dei nostri desideri. sembra sia opportuno aspettare che il mare si plachi per poter remare tranquilli. l’unica certezza la ritrovo nella mia pazienza nei confronti delle tue parole. io non dico mai tutto, ma, regista dei miei sbagli, do allo spettatore la possibilità di intuire l’evoluzioni di una trama a cui ti viene chiesta compartecipazione. è buio e non è sera, questa luce, in una giornata di plastica, sembra non bastare.