confusione.

flusso negativo di distanze, percorrendo la mia impazienza. ribadisco al mio cervello quello che penso di meritare e quello che gli eventi sembrano sviluppare. fornisco al foglio macchie rare, corrompendo le mie mani, sempre maltrattate. mi siedo incapace di raggiungere la mia tranquillità ed ascolto il canto terapeutico di un disperato, disperato per spossamento. incornicio il disastro delle mie convinzioni vestendo di complicata banalità le mie già scarse capacità investigative. chiudo a più mandate la porta, con gesti nervosi, più per sentire il rumore secco della serratura che scatta che non per sentirmi più sicuro. il canto disperato prende forza e mi ricorda dove stavo dirottando la mia concentrazione. allargo lo specchio cercando di non deformare niente, cerco di capire come vivere quella dimensione. approfitto del mio sgarbo per personalizzare gli oggetti con minimi difetti estetici, che, mia fortuna, lavorano lievemente anche sull’anima della prestazione. tento di far combaciare le palpebre e provo a limitare la frenesia del respiro. mi asciugo la fronte e la schiena, sono distrutto. il monumento piccolo scorge la sua staticità dal mare calmo di alberi e nebbia che come acque pacifiche si confrontano, collaborano e dipingono. mastico cento volte il boccone ormai disgustoso. scopro che molte di quelle che considero visioni non sono altro che desideri di chi è abituato a stare da solo e cibarsi solo dei propri pensieri. se avessi considerato almeno la metà di tutte quelle immagini che mi vennero offerte quando il tempo si sprecava maggiormente ne avrei potuto trarre conclusioni più soddisfacenti. non mi posso limitare al lamento del vecchio uomo che abita il mio corpo. basterebbe una carezza al tuo viso a farmi capire che le mie mani non sono pulite. scelgo una geometria semplice, la giustifico nel mio umore, la uso come il chiunque è abituato a inghiottire medicinali; mi fido solo dell’acqua e della frutta che la contiene in abbondanza. nessun sole sulla mia ombra. a passi comodi mi dirigo verso la destrutturazione di quelle certezze che sento potrebbero non essere del tutto mie; mettendole alla prova realmente. tutti i libri di cui mi circondo non bastano, e non regalo loro il principio d’esistenza che conservano, allo stesso modo come ho descritto l’inutilizzo che feci in passato di molte immagini. mi piacerebbe essere completamente sicuro riguardo chi la tua timidezza stia proteggendo; perché ogni tanto anch’io vorrei essere fisicamente cercato, ma è una falsità, l’istinto ci comanda diversamente, è di fronte alla conoscenza ed alle parole che tutto quello che mi blocca subentra. è alla cultura che devo i miei difetti, e probabilmente alla cultura che devo il poter averlo capito. la bilancia sulla quale da anni accumulo giudizi sui diversi piatti inizia ad avere carichi ingestibili, e niente mi porta a mantenerla nei miei spazi. ossessivamente controllo la strada che ho appena percorso, per accertarmi centinaia di volte di non essermi perso niente, allo stesso modo come controllo l’orario tre o quattro volte al minuto. sono incapace di limitarmi e tendo alla stremare le mie forze, la soddisfazione che ne deriva è magica. forse ho bisogno di spossare il mio pensare, di renderlo silente e godere del sonno come non mi capita spesso ultimamente. anche oggi, ho capito tutto in ritardo ed era già troppo tardi quando provai a riparare. sono lento e sciocco amica, il tempo ne è testimone. ho tradito la tua cerimonia, ben organizzata e discretamente decorata. ma almeno questa volta sono piuttosto sicuro di quanto mi assicuro di aver capito. niente di nuovo sulle strade e la delusione riempe l’aria di silenzio di quelle voci che riparano i fastidi. forte l’istinto di giustificare se stesso al perché dei propri errori. non è la prima volta che la fretta pone sgambetti alla mia lucidità; non sono stato onesto oggi nei miei confronti, non sono stato clemente con i miei timori e non ho raccolto oggi un sorriso nascosto in molti che volevano essere una minima esigenza di attenzioni a cui non ho regalato neanche uno sguardo. idiota, quando la mente vuole convincere troppo il corpo di avere bisogno di quel qual ché che non è. non sono stato onesto nei miei confronti, macchiando i tuoi. non me ne faccio una colpa, mi dispiace di aver dato poco. mi stendo su quel pezzo di casa che non sembra giudicarmi, fresco e lindo chiedo a occhi sbarrati al soffitto quale sia la migliore cosa da farsi. la analizzo e non mi convince completamente, ne scelgo un’altra e non mi soddisferà interamente. mi tirò su e faccio qualche passo casuale, senza alludere a mete o senza interpretare la definizione della superficie che calpesto. in preda agli svarioni realizzo che niente di quanto avrei fatto mi sarebbe andato bene, mi convinco che quel che deve succedere, succede.