fiducia nella tempesta.

il ragazzo fissa il muro, ha la bocca spalancata e si sta sforzando parecchio. lo osservo attraverso un vetro che copre ogni suono; provo a battere i pugni e rilevo solo corpi sordi. il ragazzo continua, concentrato sul muro. fissa la spugna e le vene sul viso varieggiano al suo sforzarsi. si tiene le mani l’una con l’altra. ogni tanto si aggrappa ad un polso piegandosi sulla pancia. il vento suona una carezza scura. e avvicina una nebbia flebile, scomposta e avvolgente. il suolo si ricopre di sabbia. chiara la luna suggerisce il paesaggio. al di là del vetro il ragazzo ha con sé una luce, che riflettendo sui vetri lo isola. non avrei vergogna ad amplificare il mio battito cardiaco, e quel fiatone che gli da un contorno. sudato soffro l’umido ostile di una giornata senza ordini. segno di un ennesimo inverno mancato. capisco di aver sbagliato quella volta che non ho seguito questa strada solo perché credevo fosse utile parlarti, tu che bene fingevi di ascoltarmi. avrei più spesso incontrato situazioni sorprendenti, a gestione del mio ritmo cardiaco. la foce di un autunno perenne, i colori sul mare. il fastidio di un sole a descrivere un pranzo servito male. fallimento misero di un corpo a prendere forma fluida. perde valore la concentrazione di un’esperienza all’interno di un percepire reattivo, congruo all’essere. un messaggio chiaro e diretto. fonte di motivi decisionali sul prossimo giudizio; statico di forza, carico dell’energia del vibrare ritmico del corpo stressato. la memoria viene incisa di immagini solide, a descrizione di un assurdo sublime. sembra facile prendere atto di ciò che apparentemente non esiste. annuisco al vuoto, unico termine di confine. tesserò le lodi di un carnevale nero, maschere sincere di un eterno a cui non apparteniamo. sorride il mio lato coerente. i nervi prendono coscienza delle ripercussioni del loro comportarsi, giocano con le vibrazioni del mio sguardo. ogni luce si accende; quando la mia passeggiata trova una sede istantaneamente muore. le energie che mi hanno portato qui annuiscono sorridendo, dolci serene ed inquietanti. ci sono equilibri che si autogestiscono, non considerando quello che ci rende gli animali più stupidi, gli unici animali a farsi del male continuamente, contro ogni logica d’esistenza, considerando come riferimento quella tipica del selvaggio. sono i suoni che avvicinano suggestioni e sensazioni, ambiente magico che ci ricorda tutto quello che non ci siamo mai voluti dire. siamo stanchi di novità. vorrei che ci concentrassimo seriamente su quello che ci meritiamo, smettendola di mentire a chi ci ama e a noi stessi e a chi amiamo. cavalchiamo soli il nostro sentiero, la compagnia diventa solo un peso in queste occasioni. togliamo quel velo sporco che ci siamo imposti, lasciamo che una luce concreta ci abbandoni alle nostre visioni. dove andresti oggi, qualunque cosa potessi fare? indipendentemente da con chi, è lì che vorrei trovarti la prossima volta; i mezzi sono disponibili. lasciamo al fastidio le politiche delle nostre fatiche. l’unico modo che abbiamo per amarci è accarezzarci al buio, sussurrando i nostri nomi, guardandoci negli occhi senza l’ausilio di alcuna fonte luminosa.