fiero.

punto di raccordo, elemento fondamentale alla comprensione che permette la comunicazione tra due generazioni che si sbirciano da lontano. il mento appoggiato sul muretto ruvido, la pelle se ne lamenta. assopiti dalla consapevolezza che i sogni non esistono e le realtà ci consigliano di prenderci a schiaffi piuttosto che sorridere. mi rendo conto di inseguire quelle sensazioni che fanno vivere i miei organi, che risvegliano quell’eccezionale partecipazione del corpo alle cose. niente può rimandarmi a quando da piccolo fissavo l’acqua sicuro che un giorno quei colori li avrei potuti imitare. niente si accavalla alla mia psiche come le memorie del vissuto, niente è più importante della consapevolezza che oggi ho dello ieri. aumento il tono della voce con chi fa finta di non avermi sentito, la scorrettezza del gesto mi indispone fisicamente; cerco solo di trovare motivazioni per il mio percuotere le superfici con la mano chiusa. vulcano che talvolta accumula sulle spalle delle intere ere. sento di non avere molto in comune con le persone che decidono di rinchiudersi in grosse stanze e passare ore ad appoggiare i gomiti a dei tavoli, a quantificare l’immenso delle proprie illusioni, senza prendere l’atto dovuto di infondere nel sé quella tipica tempesta che tutto inonda, che ci porta con grazia al cinguettare postumo di esseri che hanno saputo trovare riparo. cerco, anch’io, di mentirmi per favorire la distrazione dal bisogno di scorgere la tua figura dall’angolo che osservo; quell’operare rimarcato della creazione di una dipendenza di un sentire che mai incontrammo, l’inseguimento di una reazione chimica sconvolgente. le onde della delusione sono belle ma non possono regalare la soddisfazione del forte infrangersi su quelle nozioni fatte passare per sicurezza, per mezzo evolutivo di idee morte. fissiamo la crepa sul muro, il fascino di una semplice rottura di un insieme sterile, piatto. ci ricordiamo presto che anche stasera vogliamo fare tardi. non v’è sole che possa illuminare quanto mi incupisce. incauto faccio finta di essere consenziente perché il dialogo non è sempre benvenuto, soprattutto quando non definibile come tale. partecipo al mondo delle idee come un arciere che tenta continuamente di colpire il centro perfetto, e non ci riesco mai. probabilmente finirò un giorno conscio che non fosse niente di così speciale. intanto, non mi ringraziare per due parole fugaci su una panchina; non commemorare che qualcuno finalmente ti abbia ascoltato. gioiscine come quando dimostri a te stesso di aver fatto la scelta giusta; il buio saprà consolare le tue visioni e la tua intimità. l’entusiasmo non può funzionare in chi non è entusiasta, banale non sembra.