il tentativo d…

il tentativo d’abbraccio, ennesimo e sporadico. costante e dovuta percezione fisica a contrasto dell’umano si risolve nella paranoica realizzazione della forma e consistenza d’una colonna. niente a che vedere con la tranquillità dei miei umori quando la mia pelle non diventa rossa ed acida. a condizione dei miei perché niente si solidifica in possibilità, niente è compatibile con il mio punto di vista, sempre più distante da tutti, sempre più silenziosamente condiviso. la collera invisibile dell’anima che mi abbandonò alla scoperta dei miei poteri ha liberato il mio cervello, sempre più telepaticamente disponibile all’altrui, senza convenzioni altruistiche da voltastomaco, forzature morali o altre forme di stupidità scelta. aumenta il volume dei disturbi dettati dal non poter ritagliare quello spazio decisivo alla sopportazione del tutto, sempre più accalcato alle spalle dell’ognuno, sempre più focalizzato sull’oppressione delle idee e soprattutto sul loro principio di formazione. assecondare l’ignoto mi ingentilirebbe il sorriso, amico di uno sguardo raro. un’assioma cattolico picchietta quanto vedo senza alcun risultato, sempre più moderno il nostro affondare nel fango, noi unici responsabili di esso. l’educazione ripugnante ci ha portato spesso a fare cose che non volevamo, scevri delle collocazioni culturali di alcuni formalismi, coerenti con un immaginario inesistente che collassa sulla realtà avvicinandosi e mai coprendola. un sorriso beffardo a risposta dei miei sbattiti di ciglia, che non nascondono nulla, se non l’eccessiva sensibilità dei miei occhi, sotto costante assedio. profetici i dubbi che mi sono posto passeggiando le notti, la certezza di aver intuito chi e cosa avrebbe ferito le mie debolezze, da me stesso esposte a fiducia di chi si comporta da fidato, che lascia il tempo che trova. sfrutto il rumore dei passi di qualcuno fiero di richiamare più sguardi per alzare il costante ronzio che si avvicina alla sonorizzazione del mio nirvana. apparentemente la mia espressione è cugina di qualche malessere radicato e non compreso tale. non rinuncio ai miei bisogni nei confronti del giudizo d’impatto, pratica di estrema cautela, di calibrazione balistica in allenamento da sempre. scomodo utilizzo delle mie qualità a servizio di un auto pavoneggiamento scialbo, senza accorgimenti essenziali di coerenza strutturale. virtuale maestria di rapporti, persone annuiscono al passare feroce delle mie parole come carezze alla gioia altrui, incompresa, vittima di un’illusione maggiore, sterile di miglioramenti, razionale orizzonte sfocato, fuga di gas percepita al tatto, viscida, collare di una tristezza porosa che continuamente si ciba dell’insoddisfazioni inespresse del vivere.

ti guardo è vedo che sei sempre stata corretta nei miei confronti. le uniche pecche a riguardo derivavano dalla frequentazone di persone che non s’addicono alla tua intelligenza. amo uno sguardo che m’hai concesso, mentre raccontavo forse qualcosa di neanche importante, forse tu concentrata però da come lo raccontassi, dai miei movimenti. vorrei che il tuo pensare potesse prendere quelle forme degne dell’attenzione della persona attenta, capace di raccogliere con il cuore quello che le cose portano sotto il velo. cerco di dirti tutto quello che gli altri non sanno di me. quello che credo meriti sia messo in condivisione quando ci sorridiamo a vicenda, quando ci abbracciamo. ombre sul mio sguardo che potrebbero farti notare le particolarità dei miei lineamenti. siamo tutti consci della chiarezza di quell’istinto che ogni giorno percepiamo a singhiozzo. lo invidiamo, così lontano dalla nostra realtà. niente è lontano dal vivere bene questo sentire, sempre che un giorno non debba aprire gli occhi e rendermi conto di aver affrontato l’ennesimo sogno; e gli occhi, a dire il vero, erano già aperti. sposto il bilanciamento del suono sporadicamente, per farmi perdere l’equilibrio mentre cammino e forzare un piccolo cambio di prospettiva di cui sento necessità, adesso. nuovi giorni si scrivono da soli tra le fantasie che mai sono riuscito a realizzare. cerco un angolo dove meditare in pace e mi rendo conto che il fatidico angolo può materializzarsi attraverso i suoni che sento, essi, che costruiscono quello che sento, che mi creano il silenzio che bramo. cerco comunque di non invadere l’intorno, con il mio bisogno di silenzio. abbandono l’ideale di casa che oggi potrei essermi prefissato, scopro che il mio domani è lontano.  contro ogni cuore me lo ripeto mentre agisco perchè l’oggi dia fondamento al futuro che potrei non vivere. feroce mi ritrovo avvinghiato alle braccia di qualcuno che non centra molto con i miei problemi. stringo forte a far male e fisso gli occhi di un poveraccio che non centra nulla ma che conosce il fatto che io agisca solo a favore di esistenti ragioni, e su questo, anch’egli, fissandomi, cerca di leggere la mia frustrazione e non me ne parla immediatamente. faccio finta di recitare e giustifico dei sorrisi a sdrammatizzare alcune angoscie sorte di conseguenza. io e lui parliamo. sono convinto che si renda conto che non faccio così davanti a tutti quand’é che mi viene d’istinto. entrambi approcciamo alle cose in modo sgradevole, ne ridiamo, e commentiamo l’intorno a sfavore di una nostra possibile buona considerazione, sicuri del nonsenso con cui giochiamo ci sentiamo vicini e beviamo caffè. il metallo che ci ospita non trasmette nulla di relativo. su questa considerazione pulisco il cotto di quel tipico colore. fresco al tatto ne cammino rilassato. s’è fatta sera e il mio esprimermi non ha ancora dato segno di sè, mi sentirò perciò obbligato a vagare un pò nel buio, quindi, anche oggi. decontraggo quell’umore di insoddisfazione che ti sento emanare , e ti immagino che aspetti quell’orario di chiusura che ti permetterebbe di fare quelle due parole che non hai mai voluto chiedermi. stelle filanti da calpestare lungo tutta la stanza che dovremo attraversare; percorsi alternativi che non ci offrono un lieto continuare. guardiamo per terra e cerchiamo di partecipare il meno possibile a quell’animo c’ha operato che ci disgusta, che ci ha sempre nauseato. gli odori che ne rimangono ci rievocano quel che tanto ci abbiamo messo a togliere dalle suole delle nostre scarpe mentre aspettavamo una fine degna per quei discorsi che avevamo cominciato. mi guardo attorno e so dove farei una passeggiata. non c’è via migliore mentre il sole scende. ti prendo la mano nei miei pensieri e ti accompagno, compagna di condivisione di quanto ci uccide. ho visto lo scorcio che s’é espresso lineare al mistico aspetto di quel paesaggio che stiamo attraversando. usciti dalla stanza ci siamo resi conto delle qualità del nostro agire. è qui che stasera vorrei mangiare. facciamo finta di niente e abbracciamoci anche se tutti questi gatti ci guardano. conosciamo la loro poca malizia in merito, ma siamo abituati all’essere osservati di continuo, e questo ci fa spesso giudicare male chi non centra. vorrei che adesso ti dedicassi a sorriderti, qui nessuno ti guarda male, qui nessuno te lo impedirebbe.

il vento richiama il tuo nome, forse ti sognerò di nuovo stanotte.