attraverso un vetro guardo distrattamente l’acqua che corre per terra, ma più attentamente guardo quella che cade sul vetro. questa città impazzisce quando cade tutta quest’acqua. e a me disturba, parecchio: la normalità si auto-infligge parecchi colpi, e da colpe alla pioggia, stupida normalità. un vecchio saggio samurai diceva:” La pioggia è un problema solo se non vuoi bagnarti”; quanto aveva/ha ragione.
enniente: sono depresso ma appagato/rilassato. il mio piccolo fiore ha dato segni positivissimi(secondo mio personale punto di vista non assoluto) due giorni fa; tutto ciò permette di poter essere depresso-con-sorriso, sperante per futuro. forse ha arguito e chiesto ergo consiglio ad una specie di mio vicino, che tentò di mettere in luce tutto ciò con un’ottima frase che fece emergere la timidezza terza, la quale sposò la mia; eddopo gli sguardi “muti” sono stati diversi, si giocava di più e più volenterosamente, nel trionfo della mia tachicardia. occhi meravigliosi mi rivelano per la seconda volta il loro colore: meraviglia.
poi aspetto un momento.
pesto un merda: mi rallento e faccio un grossissimo respiro.
ok: ora c’ho nuovi possibili archi di vedute, quando la rivedrò spero sarò meglio in grado di afferrare i suoi sorrisi, la meraviglia dei suoi occhi(nel colore e nel taglio), la delicatezza dei suoi petali che mi sfiorano, ed il loro eterno essere soffice, comunque. una mia amica francese, non la sento da parecchio tempo, ed oggi sbuca: chiaramente le narro tutto a proposito del mio superbo fiore: le faccio vedere una foto: lei sorride guardandomi immaginariamente accanto a lei, un immagine bellissima, ci siamo guardati sorridendo in un momento d’empatia incredibile, ed ella mi diede il suo si, quasi come fosse il permesso d’una sorella maggiore; poi sorridetti un pò da solo, come fanno i pazzi, o come fanno le- persone-normali di fronte un computer.
la digestione è diventata difficile, irrimediabile ricerca di un caffè.
niente.
intanto, mentre con i pensieri sogno, devo dirigere schiere di umani nelle loro stanze, all’interno di cui fanno cose che riesco ad immaginare, perchè un pò le sento. essi mi nauseano, anche perchè possono invadere il mio spazio in qualunque momento, interrompendo qualunque cosa. emmi chiedono cose, ne pretendono altre..mi dimentico di loro e degli accenti. frattanto che questo sassofono distrugge va tutto bene; io, altresì, non molto ho da fare.
per fortuna trovo un pianoforte in mezzo alle dune. lo suono come riesco. non è che poi ne rimanga così soddisfatto, certo, sono pur sempre consapevole di non esser capace ma talvolta il mio estro trova una strada. poi un tizio correndo apre delle porte e mi ritrovo sovrastato da numerosissimi suoni che giocano con le mie percezioni, e proprio in questo trambusto riesco comunque a ri-sollevare la pace, pensando al mio fiore. mi ci concentro giusto tra il caricamento di un giuoco e l’altro. perchè questo luogo è tedio nelle mie narici, clamore nei miei desideri. mentre l’acidità interna prende il sopravvento forse anche a causa di questi acuti, ed io, silente e paziente, tento di sopprimerla. ora arrivano tizi a pagare le ore in cui io sto qua, a raccontarti cose come mi vengono, tra innumerevoli collegamenti logici ma assentissimi riferimenti tra questi; nel trionfo dei cazzi miei(non totalmente, le intuizioni sono possibilissime). adesso basta sorridere ed essere in qualche modo compiacenti, sono in questo luogo dalle 16.00 ed ora siamo alle 23.46(?!). voglio uscire alla pioggia e camminare per l’alto centro storico, così da rilassare i cazzo di muscoli sfasciati, quelli del cervello eh, che da come si può notare stanno deragliando da quei fili logici prima citati. infatti nemmanco ho la forza di correggere i possibili errori che avrei potuto commettere, lo farò un altra volta, quando sarò in grado anche di mettere gli apostrofi. forse tutto questo è anche stato portato avanti per un infimo desderio di allungar la media degli scritti, per figurare sul web con un nuovo articolone magno, il più grande di tutti, facendo perdere tempo al mio fiore che, forse, realmente interessata, sta cercando di leggere qualcosa, e tu gli servi una poltiglia di nonsense aggrovigliata su se stessa, assolutamente casuale ed asimmetrica, richiamante schifosamente una vaga citazione superficiale di un possibile assurdo; cos’è il lavoro che ti fa questo? di certo accompagnato dalla giusta musica; dovresti guardarti in faccia come ci riusciamo noi parole adesso, ti disprezziamo e siamo costrette a vedere nient’altro che la tua faccia da psicopatico, e attaccaci una foto ogni tanto su quel cazzo di finto muro. forse non ci meritiamo nient’altro che la tua faccia, in quanto tue creazioni che diritti abbiamo? allora speriamo che saranno belle le facce dei lettori o i loro ambienti, spera che qualcuno che leggerà queste cose abbia qualcosa da farci vedere anche a noi, povere parole costrette a guardare il padrone-faccia-di-pazzo. della musica non ci lamentiamo; neanche di come ci disponi, ma dovresti farci vedere qualcos’altro: e tu lettore, mostraci qualcosa, a noi, povere parole.
manca poco alla chiusura: un piccolo delirio tra amore e trance, in un riassunto che riassume otto ore passate nello stesso antro in cui perfino le parole alla fine si stancano di stare, con lo stesso disco in loop, in un deja-vu autistico, che come uniche differenze ha il passare di vari esseri, facenti varie cose, che non si curano minimamente di quello che potrei fare, per esempio mentre esprimo amore per una magnificenza, e vengo interrotto: sono un minuto oltre i tempi, bisogna chiudere. eppur continuo a sentirli fare cose che non dovrebbero, se ne devono andare perchè io voglio rilassarmi al caldo del mio bar a leggere o scrivere o disegnare, a distrarmi. perchè cazzo sono più di otto ore che sono in tremetripercinque. parecchie cose ho fatto. li sbatto fuori. fa una faccia stranita: me ne fotto, qua dentro altri dieci minuti rischio d’impazzire.
buona notte fiore.